Con la manifestazione di sabato in Piazza san Giovanni diventerà chiaro a tutti che la battaglia per l’acqua bene comune e quelle contro il nucleare e la guerra sono parte di un solo grande movimento di civiltà. Un movimento che vuole invertire la rotta rispetto ad un modello di sviluppo suicida fondato sulla violenza del più forte contro il più debole. Un movimento che non si rassegna all’imbarbarimento della vita pubblica e alla rinuncia della cittadinanza a favore del consumo. Un movimento che difende la vita e ripudia, insieme alla guerra, ogni altra tecnologia di morte. Il movimento per i beni comuni vuole aprire un grande confronto democratico nel paese.
Un dibattito politico fatto di temi reali (acqua, nucleare, guerra) e non di alchimie o sigle. Il movimento referendario che ha raccolto quasi un milione e mezzo di firme per l’acqua bene comune vuole rappresentare fino in fondo il corpo elettorale sovrano, permettendogli finalmente di esprimersi direttamente, a seguito di un libero dibattito democratico, sul modello di sviluppo che come collettività intendiamo perseguire.
Il governo, sostenuto da un Parlamento delegittimato da una legge elettorale assurda, ha paura della democrazia diretta e non vuole confrontarsi nel merito. Per farlo ricorre a ogni scorrettezza di metodo, abusando sistematicamente del proprio potere e tradendo il proprio mandato costituzionale.
Il dodici febbraio scorso l’Avvocatura dello Stato, costituitasi in giudizio contro l’ammissibilità dei referendum è stata sconfitta. Abbiamo portato a casa il
fondamentale riconoscimento dei beni comuni nella giurisprudenza della Corte Costituzionale (poco dopo anche le Sezioni Unite della Cassazione hanno riconosciuto la nuova categoria giuridica) e soprattutto abbiamo smascherato le menzogne sistematiche con cui Tremonti e Ronchi avevano cercato di non assumersi la responsabilità politica della loro scellerata scelta privatizzatrice, cercando di addossarne la responsabilità «all’Europa». Con la decisione della Corte Costituzionale è iniziata una nuova fase in cui il governo non può più essere parte ma deve cooperare lealmente con gli altri poteri dello Stato (fra cui i promotori dei referendum) nella piena applicazione dell’ art. 75 della Costituzione per consentire al corpo elettorale sovrano di confrontarsi nel merito dei quesiti. In questa nuova fase il governo deve essere guidato dal solo art. 97. della Costituzione, quello che prescrive l’imparzialità e l’efficienza dell’azione amministrativa.
Lungi dall’attenersi a questo mandato costituzionale, nello scoperto tentativo di prendersi una rivincita facendo saltare il quorum, il governo ha dapprima deciso di rifiutare l’election day sperperando centinaia di milioni di euro (in gran parte gravanti sugli enti locali già impoverirti che farebbero bene a far sentire la propria voce) pur di far votare nell’ultima giornata utile, a scuole chiuse e in pieno periodo di maturità, dopo che gli elettori hanno già dovuto recarsi due volte ai seggi. Quando, dopo l’incidente nucleare giapponese, è risultato chiaro che gli elettori avrebbero capito la posta in gioco nonostante la congiura del silenzio, ecco ora il tentativo di scippare il corpo elettorale della possibilità di esprimersi, attraverso il congelamento di un anno del programma nucleare. L’idea dei nostri statisti è che l’Ufficio centrale per il referendum presso la Cassazione sospenda il referendum sul nucleare dichiarandolo superato dal nuovo assetto normativo prodotto dalla «pausa di riflessione» e che saltato il nucleare salterebbe il quorum per tutti gli altri. Il referendum verrebbe così celebrato quando è passata la buriana. Sia detto con grande chiarezza: questo escamotage avvilente dà la misura del dilettantismo giuridico di questi signori (già certificato dalla Corte Costituzionale), oltre a quella della loro miserabilità politica. L’effetto giuridico di un voto referendario dura infatti cinque (5) anni. Una leggina ponte della durata di un (1) anno non può perciò in alcun caso sostituirsi alla volontà diretta del corpo elettorale, che deve essere a questo punto espressa nei modi e nelle forme dell’art. 75 Costituzione. La Cassazione e in seconda battuta la Corte Costituzionale non avallerebbero mai un simile tentativo di scippo. Da parte nostra saremo numerosissimi sabato a dire oltre a tutto il resto: «Giù le mani dai referendum!». Perché si scrive acqua
ma si legge democrazia.
Fonte articolo ‘Il Manifesto’
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