ROMA – Google aspetterà a lanciare il suo nuovo programma che modifica le regole sulla privacy dei suoi utenti? Domani 1 marzo Big G procederà ai cambiamenti o concederà quella pausa di riflessione, se non proprio lo stop, richiesta dall’Unione Europea e da 36 stati americani? Da Mountain View l’ordine, se non interverranno ripensamenti dell’ultima ora, è di andare avanti, lo scontro si annuncia di dimensioni planetarie, in ballo c’è il diritto alla riservatezza di centinaia di milioni di persone che ogni giorno navigano in rete il pesante investimento di Google sul nuovo protocollo, semplificato, trasparente, unico che raccoglie le informazioni sulla navigazione di ogni singolo utente.
Cosa contestano a Google i governi europei, prima è stata la Francia, e i procuratori generali dei 36 stati americani? Intanto vogliono conoscere meglio quel protocollo, vogliono stabilire se viola le norme sulla privacy. Google vuole unificare tutte le piattaforme esistenti in un’unica piattaforma integrata. Per capirci: fino ad ora tu puoi gestire la posta attraverso Gmail, navigare su Internet con il motore di ricerca Google, usare lo smartphone con il sistema Android, ascoltare e vedere video musicali su Youtube, scaricare le tantissime applicazioni immagazzinate su Google Chrome per accedere a servizi di intrattenimento, giochi, meteo, social, strumenti aziendali, news e così via. Le nuove regole di Google permetteranno di combinare tutte insieme le informazioni rilasciate dagli utenti nei diversi servizi forniti nella logica di far vivere all’utente una singola esperienza attraverso le diverse piattaforme, ma anche con l’obiettivo dell’azienda di ”consolidare in una sola le norme di oltre 60 servizi specifici”.
Sarà possibile, ad esempio, aggiungere un appuntamento al Calendario Google quando in Gmail si riceve un messaggio che annuncia una riunione. Oppure condividere indicazioni stradali con una delle proprie cerchie di Google+ senza abbandonare Maps. Meraviglioso, stupendo? Non esattamente, il rischio di un Grande Fratello in ascolto permanente è più che potenziale, forse è già realizzato. Intanto viola oppure no le norme sulla privacy? L’Autorità francese è convinta di sì, come i 36 general attorney americani. La prima violazione, quella più pesante, è che gli utenti non sono stati informati correttamente, nonostante gli avvisi ripetuti di Google. Non bastano, non garantiscono il diritto all’informazione: uno studio britannico (Big Brother watch) stima che solo il 12% degli utenti ha letto il protocollo, il 47% addirittura non ne sa niente.
E poi chi non si metta totalmente nelle mani di Google, rischierà di vedersi “tagliare” i servizi cui aveva accesso spesso gratuito per non aver avallato la sua politica aziendale? Negli Usa si teme addirittura che ti costringano a cambiare telefonino. Google non sente ragioni, non vuole sottostare alle lentezze burocratiche di governi e authorities, il business esige decisioni rapide e velocità di esecuzione. I diritti viaggiano su ritmi più lenti. ”Crediamo di avere trovato un equilibrio ragionevole tra le raccomandazioni del Working Party: ‘razionalizzare e semplificare’ le nostre norme e allo stesso tempo offrire ‘un’informazione esaustività agli utenti. Il nostro impegno – ha concluso il portavoce – è quello di offrire agli utenti un’esperienza d’uso semplice e intuitiva con i diversi servizi di Google e allo stesso tempo di rendere il nostro approccio alla privacy semplice da capire per loro”.
Semplice? Forse per Google, che avrà un accesso facilitato per comprendere il profilo del cliente/consumatore cui offre servizi e inonda di advertising. Intuitivo? Permettere ad ognuno di noi un percorso facilitato ci rende più conformisti perché siamo sempre compiaciuti nelle nostre scelte, e questa è una verità controintuitiva. Come che è la terra a girare intorno al sole.