Orfani dei furbetti del quartierino

di Dini Casali
Pubblicato il 9 Luglio 2010 - 18:33 OLTRE 6 MESI FA

Stefano Ricucci

Quando di intercettazioni si moriva, carpire informazioni segrete era un’arte, dall’intrepido corriere che intercettava il messaggio dell’imperatore, alla schiava che origliava dietro le tende dell’harem del sultano. Per non parlare  dell’ingegnoso maggiordomo intento a mettere un bicchiere sulla parete che lo divideva dal padrone in vena di confidenze con l’ultima amante. Spiare era una professione rischiosa ma ben remunerata che assicurava una mondanità altrimenti preclusa e un’allure cosmopolita. E tanti bei ricordi da collezionare in vecchiaia per un bel volume di memorie piccanti. Un investimento insomma e un sicuro invito nei salotti più in vista.

Se per l’apocalittico e pessimista congenito Cioran nella vita le uniche cose degne di un uomo erano la metafisica e il gossip, a noi poveri forzati dell’ottimismo è rimasto solo il gossip. Ma non si tratta più del vecchio pettegolezzo dei bei tempi andati: condito di malizia sopraffina, avvelenato da una sana maldicenza, praticato da spiriti nobilmente depravati. Oggi, triste destino, affoghiamo in un mare di inutili informazioni su detestabili vip che rimbalzano come palline impazzite nella cacofonica pattumiera mediatica. Che ingurgita tutto, annullando distanze, differenze, valori.

Si dice che con l’uso indiscriminato della telefonia la prima vittima sia stata la scrittura. Non si scrive più una lettera, anche le classi cosiddette colte preferiscono mandarsi messaggini. Rinunciare a scrivere significa articolare con meno sottigliezza i propri pensieri: si parla tanto, tantissimo, si comunica su tutto, a tutti, in tempo reale e a tutte le ore.

Ma non bisogna mai sottovalutare l’imponderabile, le piccole falle che fanno crollare le dighe all’improvviso. Chi non ricorda l’epopea dei “furbetti del quartierino”. Lenzuolate, come si suol dire, di intercettazioni che, inutile negarlo, hanno riempito un’estate fin lì del tutto anonima e noiosa. Una goduria sotto l’ombrellone, direttamente dalla voce degli improbabili scalatori sociali giungevano trame, personaggi, ambientazioni degne di una grande penna, buoni per un romanzo o per la sceneggiatura di un film. Solo pronti ogni mattina in edicola, da gustare a puntate come un feuilleton scritto da un collettivo che una scuola di scrittura creativa si sognerebbe mai di sfornare. E al modico prezzo di un euro. L’intercettazione come genere letterario è stata la vera  novità degli ultimi anni. Altro che new-epic o nuova sensibilità verso il reale. Un sismografo perfetto degli smottamenti di un potere straccione.

Certo la battaglia contro la legge bavaglio è fondamentale per la libertà di stampa, per non spuntare le armi di contrasto alla criminalità. Ma anche il sano desiderio di farsi i fatti degli altri conta. E capire come pensano, ragionano, parlano gli effimeri protagonisti della scena pubblica italiana. A occhio e croce male. Ma volete mettere la fulminante battuta del mai troppo compianto Ricucci al vertice della sua resistibile ascesa? «So’ boni tutti a fa i froci cor culo degli altri!» Un po’ volgare, ma il maresciallo che lo ascoltava ancora ride. E noi con lui.