ROMA – Nell’edizione speciale dell’ “Italia in cifre” stilata dall’Istat in occasione dei 150 anni dell’Unità, è entrato anche l’italiano “in crisi” con il peso.
Nel dossier, di cui ne parla Simona Ravizza oggi 29 ottobre sul Corriere della Sera, il sovrappeso e l’obesità sono considerati una voce degna di nota per capire le trasformazioni del Paese. “Cresce il numero di persone con indice di massa corporea superiore a 25 (l’asticella che delimita la normalità, n.d.r.) — scrive l’Istat —. Se nel 1994 il 32,8% degli italiani era in sovrappeso e il 7,3% obeso, 15 anni dopo la percentuale è salita rispettivamente al 36% e al 10%”. Le donne sono mediamente più magre degli uomini e, almeno per una volta, escono vincenti dalle statistiche: 37% contro 57%”.
Il problema dell’eccesso di masasa corporea era stato sollevato in occasione dell’ultimo Obesity Day dall’Associazione italiana di Dietetica e Nutrizione clinica, lo scorso 10 ottobre: “Se gli italiani con problemi di peso fondassero un partito vincerebbero le elezioni — era lo slogan della giornata —. Italiani sempre più poveri, sempre più grassi”. Quelli con problemi sulla bilancia in Italia sono oltre 20 milioni, di cui 5 milioni di obesi (ossia con un Imc superiore a 30). Solo rispetto al 2002 la loro percentuale è in crescita dell’1,5%.
Ma è un problema che supera i confini nazionali dei Paesi. Nel 2002 gli extralarge che vivevano negli Usa erano il 34,9% contro il 46,3% attuale. Nel Regno Unito sono passati dal 20 al 25%. Persino in Brasile c’è una crescita dall’10,9% al 18,5% e in Cina dall’1,3 al 3,8%.
L’obesità quindi è diventata una delle malattie più diffuse. È il motivo per cui l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) ha coniato il termine di “globesity”.
Sotto accusa sono in tutto il mondo le multinazionali del cibo e delle bevande, accusate di indurre la popolazione a mangiare troppo e male e di influenzare le politiche sanitarie dei governi, con importanti finanziamenti ai partiti. Nel 2010 le industrie del cibo e delle bevande hanno dato ai Repubblicani più di 8 milioni di dollari, altri 4 ai Democratici.
Insomma, come accusato anche dal Financial Times con un’inchiesta pubblicata ieri 29 ottobre, il potere di lobby esercitato sul Congresso americano rischia di condizionare drammaticamente le scelte in materia di politica sanitaria.