Risparmiare sui malati terminali blocca la ricerca anti-tumori

ROMA – Smettiamola di curare i malati terminali di cancro, sostengono 37 studiosi inglesi, non ce lo possiamo più permettere. Spendiamo troppo, per allungare la vita a un esercito di moribondi,  continua l’agghiacciante ma documentata requisitoria. Ingannare la morte per qualche giorno, qualche settimana al massimo, dirotta verso i trattamenti di fine vita risorse umane e finanziarie insostenibili. Gli inglesi hanno ascoltato attoniti Richard Sullivan alla Bbc, rettore del King’s College di Londra, snocciolare i dati sulla inutilità di queste cure. Il mondo lo ha appreso dalla pubblicazione sulla rivista Lancet. Ma come spiegarlo al marito di una donna di trent’anni afflitta da un tumore che nel giro di qualche mese se la porterà via? E’ il caso di Martin Colworth, un caso tra migliaia. Ha discusso con la moglie Anna della ricerca di Lancet: arrabbiatura, lacrime, silenzio, la sensazione di scoprirsi abbandonati. Poi, dileguata l’emozione iniziale, resta solo un grande, disperato bisogno di tempo.  “Non vogliamo fare da cavie”, spiega la coppia e nemmeno “perdere il prezioso tempo rimasto ad arrabbiarci con Lancet”.

Esiste una risposta per Martin e Anna che non poggi unicamente sulla fredda schiena di un calcolo economico? Non tutti i medici sono favorevoli alla cruda diagnosi: una risposta plausibile è una razionalizzazione nell’uso dei farmaci, visto che la ricerca sta facendo passi da gigante e i nuovi stanno dando frutti. Lo sostiene il professor Comoglio, direttore scientifico dell’Ircc-Fpo di Candiolo per la cura del cancro, intervistato dalla Stampa. “E’ vero che questi farmaci sono molto costosi e bisognerebbe evitare il loro uso indiscriminato. Però contribuiscono alle conoscenze scientifiche, in un processo che alla fine segnerà progressi significativi nella lotta al cancro”.

Comoglio non si nasconde che il primo effetto di un abbandono sistematico della cura per i malati terminali, farebbe nascere una Sanità di serie A, per i ricchi che possono permettersela e una di erie B per il resto del mondo dolente. Tuttavia una soluzione percorribile è già a portata di mano: “L’oncologia molecolare clinica permette di prevedere se il paziente potrà trarre beneficio o meno dal nuovo e costoso farmaco”. Un profilo clinico accurato diverso da paziente a paziente consente di soddisfare etica e economia, l’obbligo cioè di fornire universalmente le cure necessarie e l’attenzione a ripartire con intelligenza le risorse disponibili affinché tutta la sanità non salti per aria. Starà ad ognuno di noi decidere il proprio approccio verso l’accettazione della morte. Un farmaco come il Sutent, per esempio, può allungare la vita di pazienti malati di cancro ai reni non per settimane ma per anni: capire se ci è utile è decisivo, prepararsi a un verdetto negativo lo è altrettanto. Ma qui i medici hanno esaurito il proprio compito:  in assenza del conforto della fede, leggere Marco Aurelio o Seneca è senz’altro di maggiore aiuto.

 

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