Politici, sindacalisti, giornali, mamme e papà, a partire dagli anni settanta hanno dato corpo alla convinzione che davanti a noi ci aspettasse un orizzonte sconfinato dove il posto era un diritto, il lavoro un optional, la vita non ci riservasse sorprese se non quella di una vecchiaia serena, riscaldata da una buona pensione, dopo anni di albe in discoteca, mentre una gigantesca macchina statale girava senza intoppi al nostro servizio, grazie anche a computer e tecnologie che riducevano al minimo il nostro impatto con gli opposti e sempre prevalenti analoghi diritti e aspirazioni dei dipendenti pubblici.
L’avere assunto Berlusconi a causa e paradigma di ogni nostro male, pubblico e anche privati, per un po’ ci ha fatto perdere di vista le nuvole che nel frattempo avevano reso cupissimo quell’orizzonte. Così non molti si sono accorti della gravità e senso di responsabilità che hanno caratterizzato il messaggio di Capodanno del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e ancor meno sono quelli che lo hanno fatto con la efficace stringatezza di Marzio Breda sul Corriere della Sera. Anche Eugenio Scalfari cita l’avvertimento che “non bisogna indulgere in un facile ottimismo che nasconde una realtà difficile e in certi casi drammatica”. Poi però c’è molta retorica, là dove tocca i temi che hanno caratterizzato la critica dei maitres a penser degli ultimi trent’anni e che alla fine hanno contribuito a regalarci Berlusconi: “l’isolamento della politica e delle istituzioni, l’intollerabile aumento delle diseguaglianze, la mancata crescita economica, le condizioni del Mezzogiorno, il degrado di Napoli e la necessità della collaborazione collettiva”. Per non parlare della “necessità di aprire una prospettiva alla generazione dei giovani che non ha sbocco di speranza e di lavoro ed alla quale occorre dedicare ogni sforzo”.
Breda è essenziale, le sue frasi brevi sono quasi delle frustate: “Napolitano ha toccato temi che la politica aveva accantonato negli ultimi mesi, concentrata com’era in una resa dei conti pronta a sfociare in una crisi al buio”, ma soprattutto “ha accennato una questione quasi assente nel nostro dibattito pubblico: la convivenza con i fantasmi della decrescita, indagata (tra i primi) dal guru ecologista francese Serge Latouche”. Napolitano, osserva Breda, “va al cuore del problema” quando ricorda a tutti noi che, anche per effetto dei collassi planetari dell’economia, “il sogno di un continuo progredire nel benessere, ai ritmi e nei modi del passato, è per noi occidentali non più perseguibile” , e che è il momento di riflettere sui limiti della cosiddetta «teologia del Pil» e dello sviluppo infinito.
Osserva Breda: “Dati i pericoli messi in evidenza dal risiko della finanza globale, proporre simili interrogativi non è esercizio di catastrofismo ma di realismo”. Difficile sarà aspettarsi un ulteriore avanzamento e progresso di generazione in generazione come nel passato”.