Usa contro la pirateria internet. Il Congresso potrà chiudere Google?

ROMA – Il Congresso Usa è tornato alla carica contro la pirateria su Internet. Obiettivo i siti che permettono di copiare illegalmente film, musica e contenuti vari, così come di vendere prodotti “taroccati”, dai farmaci ai pezzi di ricambio auto. Ci avevano già provato in America ma qualsiasi provvedimento non poteva dare gli esiti sperati: tutti i siti incriminati si trovano all’estero, fuori dalla giurisdizione federale. Le pressioni delle multinazionali dell’intrattenimento, però, non si danno per vinte: la lotta, sostengono, deve essere condotta contro i motori di ricerca, come Google e Yahoo, i sistemi di pagamento on line come PayPal, i server di inserzioni pubblicitarie che, tutti insieme, consentono ai siti pirata di funzionare e prosperare.

Come attacco al sistema internet non c’è male, la stretta sarebbe fortissima, la censura in agguato: anche perché, come caso limite, per un controllo tardivo o mancato, si potrebbe ottenere la chiusura di imperio di Google. Tutta la Silicon Valley ha preso suol serio la questione e sta correndo ai ripari. E’ una guerra di lobby miliardarie in un contesto che riguarda la libertà d’espressione e la tutela del diritto d’autore. A colpi di milioni di dollari si affrontano per il predominio sull’opinione pubblica, due schieramenti agguerriti e trasversali. Da una parte le grandi compagnie della Information technology, ben supportate dai fondi di venture capital che difendono i propri investimenti cui si aggiunge la vasta platea libertaria di avvocati, difensori pubblici, attivisti per la libertà di parola. Alla testa della compagine Google e Mozilla, che sulla home page del browser Firefox pubblica una petizione contro il “Congresso che prova a censurare internet”.

Dall’altra parte della barricata la potentissima lobby dello spettacolo, la Motion Picture Association of America coadiuvata dalla Camera di Commercio Usa. Devono convincere l’opinione pubblica che le misure previste non sono troppo estese e la mano del legislatore non è troppo pesante. E che la minaccia di chiudere siti web in massa non rappresenta una  palese violazione della libertà d’espressione e un pessimo esempio di censura made in America. Devono convincere gli americani che il prezzo che pagano per una legislazione impotente di fronte alla pirateria è contro i loro interessi: “I consumatori inviano i numeri delle loro carte di credito a compagnie anonime off-shore e ricevono merci difettose”, sostiene il capo della Fox. Rimpiangendo di aver fatto passare il concetto romantico di pirateria, invece che quello di furto ai produttori di contenuti e di frode per i clienti.

Dal canto suo, una compagnia come Google non può che replicare dicendo che le leggi e sanzioni ci sono già e vengono applicate. Come giudicare altrimenti la supermulta di 500 milioni di dollari per aver permesso la vendita di farmaci illegali dal Canada? La battaglia sarà aspra, lunga e coinvolgerà protagonisti che in altre occasioni si troverebbero agli antipodi della lotta politica. Come gli Occupy Wall Street che sfileranno mano nella mano con i Tea Parties contro ogni legge liberticida.

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