Possiamo chiamarli imbecilli i contestatori di Schifani?

Dopo i fischi alla Festa del Pd, una riflessione sull’abuso di dissenso (e di parole)

Non è facile difendere Renato Schifani. Il nostro presidente del Senato, nonché seconda carica bla bla, non è mai stato un mostro di simpatia, per usare un eufemismo. E, a dar retta all’Espresso, ci sono elementi da chiarire nei suoi trent’anni da avvocato poi eletto nel collegio siciliano di Altofonte-Corleone con Silvio Berlusconi. Ma i fischi e i fischietti che alla Festa del Pd di Torino hanno tentato di zittirlo prima di un incontro con Piero Fassino no, grazie, not in my name.
I contestatori col fischietto in tasca che dicono «volevamo solo confrontarci» non fanno neanche ridere, tanto contribuiscono a incasinare e a far degenerare una situazione già incasinata. E fanno il gioco di quelli che considerano nemici. Già l’uso dell’espressione «nemici» fa pena. Neanche gli ultras che si menano in curva la usano più: gli avversari non sono nemici da eliminare ancor prima che inizi la partita. La rabbia dei cittadini è tanta, e non la si può ignorare facendo gli scandalizzati e basta, ma a forza di politica de panza dove siamo finiti? Le monetine a Craxi e le manette di Tangentopoli ci hanno portato dritti dove siamo: vi piace?
A molti piacerà, visto che la maggioranza del Paese ha votato questo governo. A parecchi invece non piace per niente. Poi ci sono gli altri: i talebani che il primo ministro lo vorrebbero in padella, con contorno dei suoi arrosto. E i talebani non mi piacciono per niente, anche se, a volte, nel buio della mia stanzetta, li sogno in padella anch’io, i nostri governanti, con un contorno di verdure alla griglia. Ma mi limito a pensarlo, o a farci qualche battuta col vicino di autobus. (Parentesi: forse l’espressione «discorso da autobus» andrebbe aggiornata, visto che in autobus non attacca bottone più nessuno perché stiamo tutti a spippolare sul telefono).
E anche se l’esempio che ci arriva dal Parlamento non va in questa direzione, continuo a pensare che la politica debba basarsi sul confronto e il rispetto, non su cappi e manette. Gli strumenti di dissenso sono svariati e il più concreto è il voto: usiamolo, al posto di fischietti e monetine, se non vogliamo tornare uomini di Neanderthal.
A proposito di uomini di Neanderthal, Maurizio Gasparri che sui fischi a Schifani dichiara «Insulti, odio e astio producono frutti velenosi» fa sorridere, anzi sghignazzare: ha parlato il Mahatma Gandhi. Detto questo, ha ragione. Persino lui, Dio mi perdoni. E noi vogliamo continuare a metterci nelle condizioni di dover dar ragione ai Gasparri? E, a proposito dell’a proposito, l’abuso dei termini «squadristi» e «fascisti» che molti – compreso Piero Fassino – fanno in queste circostanze: vorrei lanciare la proposta per un’altra campagna (oltre a quella per l’abolizione dell’espressione «discorso da autobus», oggi mi voglio rovinare): possiamo calmierare il termine squadristi e sostituirlo col più appropriato «imbecilli»? O – se imbecilli vi sembra troppo radicale – con «infantili e immaturi»?
A 15 anni, e persino a 20 – non posso negarlo – ci sarei andata anch’io alla Festa del Pd col fischietto. Poi si cresce, però.
 

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