Se il PD reagisce e non agisce

Di questi tempi non è facile essere il segretario del principale partito di opposizione, soprattutto all’indomani di una manifestazione ben riuscita come quella organizzata dalla Fiom. Non è facile perché al PD, da una parte e dall’altra, si chiede di comportarsi come se fosse ancora un grande partito novecentesco che sceglie di aderire o non aderire ad una grande manifestazione del sindacato operaio. Ma il PD non è più quel partito, così come come il corteo di sabato scorso è stato ben altro che un evento esclusivamente sindacale. Si spiega anche così l’incapacità della leadership democratica di argomentare in modo convincente la posizione assunta sulla manifestazione. Pierferdinando Casini, del tutto legittimamente, chiede a Bersani di prendere le distanze da una piazza “in cui si accusa il capitalismo di aver depredato la gente”. Dal fronte opposto sono altri, e altrettanto legittimamente, a chiedere che il PD sposi fino in fondo le ragioni della protesta Fiom.
Preso in mezzo, Bersani ha un bel da fare nel ricordare le ragioni dell’autonomia del Pd (“Il compito del partito è avere un progetto suo e non misurare le distanze da un sindacato”). Ma sullo sfondo rimane il sospetto che l’antico collateralismo stia tornando a farsi sentire con il trucco della “necessità di ascoltare tutti” o con il camuffaggio che permette al segretario di partecipare per interposta persona (quella del suo assistente), tanto più nell’imminenza di uno scontro elettorale che non consentirebbe al Pd di perdere una sola fetta di consenso a sinistra.
In realtá in tutto questo non vi sarebbe alcuno scandalo, perché il rapporto che corre oggi tra il Pd e la Fiom è quanto di più lontano dalle relazioni che intrattennero a suo tempo il Pci e i sindacati dei metalmeccanici quando la posta in gioco era la rappresentanza unitaria, politica o sindacale, del mondo del lavoro salariato. Oggi sia il Pd che la Fiom sono attori, entrambi politici ed entrambi minoritari, di una partita che si svolge dentro il limitato perimetro dell’opposizione al berlusconismo. Un campo angusto e affollato dove negli ultimi anni si sono moltiplicati i pretendenti a porzioni di consenso piccole o grandi ma mai risolutive. E tra i costi della rinuncia del Pd alla vocazione maggioritaria vi è anche la necessitá per Bersani e i suoi di ricontrattare i termini dell’alleanza con la Fiom così come si sta facendo con Vendola e Di Pietro. Non si tratta dunque dell’antico collateralismo tra partito generale e sindacato operaio, ma della ridefinizione di un patto con attori politici in vista di un cartello elettorale nel quale il Pd si avvia ad essere alleato con tutto quanto si è nel frattempo radicato alla sua sinistra. Ivi compresa una Fiom che in questo biennio ha assunto un profilo di militanza politica assai ben definito.
Lo slittamento del Pd verso una nuova alleanza a sinistra appare dunque inevitabile, anche sulla spinta di una crisi del berlusconismo che va svolgendosi più rapidamente di quanto era stato immaginato. Se ne può prendere atto con qualche rassegnazione, almeno tra coloro che immaginavano o speravano che il Pd potesse utilizzare questi anni di opposizione per una profonda revisione della sua lettura della società italiana. Così come è opportuno prepararsi al ritorno in Parlamento, dietro lo schermo dell’immaginifica retorica di Vendola, delle idee e delle parole dei Paolo Cento e degli altri reduci di quel radicalismo massimalista che nel 2008 sembrava essere stato neutralizzato.
Non è qui il punto dolente del percorso che il Pd va compiendo (o sta tornando a compiere) verso la sinistra radicale, ma nel tratto essenzialmente passivo che lo accompagna. Anche nei confronti della Fiom, così com’è accaduto con Vendola, il partito di Bersani sembra reagire supinamente a quanto avviene intorno a sé piuttosto che provare a guidare la direzione dell’alleanza e la definizione dei suoi contenuti. Per far questo non basta mandare i propri collaboratori in piazza, rivendicare una vaga pratica dell’ascolto o evocare una mitologia del “nuovo patto sociale”. Servirebbe una capacità di orientare gli alleati e una consapevolezza del proprio ruolo nella società italiana ben più forte di quella che il  Pd mostra di possedere, incalzato com’è da concorrenti che insistono sul suo stesso spazio elettorale senza avere la pesantezza di chi si muove come se fosse ancora quel grande partito novecentesco che non è più


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