TORINO – Una volta aveva un lavoro da operaio una moglie e una casa. E giocava solo la schedina il sabato. “Duemila lire al massimo”. Oggi ha una pensione da 980 euro, è vedovo, ha “venduto” la sua casa e vive in affitto. E gioca alle slot machine almeno la metà della sua pensione.
La storia di Antonio P., 68 anni, è la storia di uno dei due milioni di italiani a rischio dipendenza da gioco d’azzardo. E’ una storia che lo stesso Antonio racconta a Maurizio Crosetti di Repubblica ed è una storia che sembra senza via d’uscita.
Ogni mese, racconta Antonio “tolgo dal mensile i soldi delle bollette dell’ affitto, 500 euro, qualcosa per mangiare ma poco, e il resto me lo gioco, insieme ai risparmi di una vita. Facevo l’ operaio alla Michelin, si fabbricavano le gomme. Ma a quei tempi giocavo al massimo la schedina, duemila lire il sabato, non come questa merda qui”. E qui si chiama “Tropical paradise” è una sorta di bar dietro il cimitero monumentale di Torino gestito da cinesi.
Antonio giocatore visto da Crosetti mette angoscia: “Non è felice, nemmeno eccitato, solo assente: pare ci si droghi per questo, per essere altrove. Ma ora non esiste quel luogo. Il giocatore ha polverizzato nel frattempo altri cento euro. Estrae dalla tasca due pezzi da venti e li infila nella macchina cambiamonete”.
Alla fine, dopo 240 euro cambiati, ad Antonio restano solo due euro e mezzo per un toast. Poi torna a casa. E proprio la solitudine, nel suo caso, sembra essere quello che l’ha spinto a giocare: “Ho cominciato perché mi sentivo solo, i primi mesi da vedovo sono stati terribili. Gli altri, non tanto meglio”.
La consapevolezza non manca, “vince sempre lei” dice il pensionato parlando della slot machine, quello che manca è l’aiuto e una via d’uscita. Nella situazione di Antonio ci sono due milioni di persone: quasi ogni giorno giocano con una delle 400 mila slot machine italiane (da sole danno il 30% del totale degli incassi del gioco d’azzardo legale in Italia).
Ma chi è il giocatore compulsivo? Secondo le statistiche è un uomo (nel 72% dei casi) diplomato (69%) che ha un lavoro dipendente (51%). Più stratificata la fascia d’età: quelle più a rischio sono tra i 30 e i 40 anni, 32% del totale, e gli over 50.
L’unico dato positivo, in tutto questo, è l’aumento dei giocatori che chiedono aiuto al programma “gioca responsabile”. Nel 2011, infatti, sono saliti del 57%. Di “Antonio” che nessuno aiuta, però, ce ne sono ancora troppi.
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