Abolire gli spicci da uno o due centesimi: inutili ma valevano 20 lire

ROMA – Gli spiccioli, insomma le monetine da uno o due centesimi, sono di fatto solo soldi “finti” che nulla comprano e alquanto ingombrano, oppure no? Tanto vale abolire questa moneta miraggio, questo conio invecchiato e in fondo “ipocrita” rispetto al reale costo delle merci, oppure conviene tenerseli perché il rimedio dell’abolizione sarebbe peggiore del male di monetine sostanzialmente inutili? Il problema che ciascuno di noi si pone alla cassa di un supermercato quando riceve parte del “resto” in mini circoletti di rame è, più in grande, il problema che governi di mezzo mondo si stanno ponendo. Un articolo de La Repubblica fa il punto di incertezze, dubbi e scelte sul futuro di penny di sterline, cent di dollari, copechi di rubli e centesimi di euro.

“Che senso ha continuare a coniarli e continuare ad usarli?” Noi consumatori italiani non siamo i soli a porci questa domanda quando ci ritroviamo tra le mani e nelle tasche manciate di monetine di rame, i centesimi di euro, che non hanno praticamente nessun valore e sono di fatto un ingombro. Americani, russi e inglesi si sono posti e si pongono lo stesso interrogativo, così come canadesi, australiani e svedesi. I primi, alla questione ancora non hanno fornito una risposta mentre gli altri, canadesi, australiani e svedesi, la moneta più piccola l’hanno abolita. Motivi per relegare la monetina “rossa” nel passato ce ne sono eccome, ma ce ne sono anche per tenerla, soprattutto da noi.

Che i centesimi, i copechi e i penny siano monete prive di una qualsiasi utilità pratica è un’evidenza sotto gli occhi di chiunque li utilizzi. Non comprano nulla, ingombrano tasche, portafogli e finiscono per ammucchiarsi in cassetti o barattoli. Quando poi dai salvadanai escono per essere cambiati in banca costano persino, il loro trasporto, ovviamente in grandi quantità ha infatti un costo, spese di trasporto e deposito quindi da mettere nel conto. E nel caso australiano produrli costava persino più di quanto fosse il loro valore nominale: 1.5 penny spesi per fabbricare ogni moneta da 1 penny. Abolirli quindi sembrerebbe la scelta più sensata. Meno monetine uguale meno costi per un servizio di nessuna utilità.

Ma, c’è un “ma”. Anzi, a dire il vero almeno un paio. La prima ragione che frena i governi come quello statunitense e quello britannico dall’eliminare senza troppi indugi le monete da un cent e da un penny è una ragione “sentimentale”, a queste monete infatti, soprattutto i meno giovani, sono affezionati, fanno parte del loro passato e della loro storia. Si sa però che i governi non agiscono prettamente sulla base delle ragioni del cuore, il secondo motivo che frena sull’eliminazione degli spicci è non a caso di tutt’altra natura e ben più “corposo” rispetto al valore sentimentale che le monetine mantengono: eliminarli comporterebbe un rapido se non immediato rialzo dei prezzi.

Come? Semplice. Vero è che penny, cent e copechi non sono in grado, da soli, di acquistare nessuna merce, ma il loro valore è assolutamente tenuto in conto nella formulazione dei prezzi. Pensate ad esempio a tutti quei prodotti venduti a tot euro e 99 centesimi, mandando in pensione la moneta da 1 centesimo il prezzo del prodotto in questione verrebbe certamente arrotondato per eccesso e non per difetto. Tradotto quello che prima costava 4.99 si trasformerebbe immediatamente in 5 e non 4.95. Questo automatismo, su scala nazionale, e applicato a prodotti anche come la benzina, significherebbe un balzo in avanti dell’inflazione. Cosa che, in particolare in un momento di difficoltà come questo, non spinge a favore dell’eliminazione delle monetine.

Questo “effetto collaterale” in alcuni paesi più virtuosi potrebbe essere non automatico o almeno non immediato, ma in Italia sarebbe una certezza matematica. Almeno da noi quindi meglio tenersele care, le monetine.

 

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