Torelli Viollier: il padre del Corriere della Sera, garibaldino all’insegna dell’obiettività

ROMA – Se il Corriere della Sera è ritenuto internazionalmente uno dei più autorevoli quotidiani italiani, se non il più autorevole tout court, non gode di altrettanta fama il suo fondatore, Eugenio Torelli Viollier.

Ora rende merito all’editore un volume firmato dal giornalista del Corriere Massimo Nava, ‘Il garibaldimo che fece il Corriere della Sera. Vita e avventure di Torelli Viollier’, presentato oggi da un articolo di Giuseppe Galasso e giovedì da Maria Lusia Agnese alla Fondazione Corriere della Sera.

Volontario con i Mille di Giuseppe Garibaldi, segretario di Alexandr Dumas, il franco-napoletano Torelli Viollier, dopo un’infanzia povera e disagiata, si arruolò con i Mille nel 1860, a 18 anni. Fondamentale fu però l’incontro con Dumas, che a Napoli viveva e aveva fondato ‘l’Indipendente’. Torelli lavorò al giornale di Dumas, e poi lo seguì a Parigi, finché non venne chiamato da Sonzogno a Milano.

Poco dopo però Torelli decise di fondare un giornale tutto suo: nacque così, il 5 marzo del 1876, il ‘Corriere della Sera’, giornale della sera finanziato da Benigno Crespi e ispirato ai quotidiani inglesi, già allora assurti a modello di obiettività.

Torelli, nota Giuseppe Galasso, poté così evadere dall’ideologismo post-risorgimentale allora dominante nella stampa dell’Italia appena unita. Il fondatore del Corriere voleva che il suo fosse un giornale non “personale” ma “collettivo”, che rispondesse “a un numero di bisogni maggiore che in passato” col lavoro “specializzato e frazionato” di “un numeroso drappello di redattori”, che trattino “ciascuno le questioni che meglio conosce”.

Il direttore doveva armonizzare l’orchestra “prendendo la penna soltanto quando occorre precisare o chiarire l’indirizzo del giornale”, ma sempre seguendo e ingerendosi in tutto, “dall’articolo di fondo fino alla cronachetta cittadina e al bollettino della Borsa”.

Torelli pensava già anche a “corrispondenti dall’estero e redattori viaggianti”, ed era favorevole ad un’obiettività che andasse oltre la linea politica del giornale, descritta nel primo editoriale come  “siamo conservatori prima, moderati poi. Ma c’è una bella differenza tra indipendenza di giudizio ed equidistanza”. E aggiungendo una farse più che mai attuale: “La disciplina di partito è indispensabile in Parlamento, non nei giornali”.

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