Non si può certo dire che non l’avessimo detto. In questo blog, in quello di Guido Scorza, in quello di Enzo Di Frenna, di Alessandro Gilioli, di Beppe Grillo e di tanti altri che mi scuso di non citare, più che dirlo l’abbiamo gridato. Per mesi, per anni. Insieme a Piero Ricca e a Guido abbiamo girato l’Italia con Libero Web in Libero Stato: Milano, Firenze, Roma e prossimamente Napoli. Insieme a Enzo e a 60 audaci siamo andati a Roma, davanti all’ambasciata americana, a danzare a piedi nudi contro il Decreto Romani.
E chissà che proprio da queso flash mob non abbia preso spunto David Thorne, l’ambasciatore USA a Roma, che in uno dei cablogrammi su Wikileaks, datato proprio febbraio 2010, riferisce a Washington delle critiche, delle perplessità e dei sospetti dell’amministrazione Usa sulla "legge Romani", che "darà possibilità di bloccare o censurare qualsiasi contenuto" e "favorirà le imprese di Silvio Berlusconi di fronte ai suoi competitor", a conferma di un "modello di business familiare in cui Berlusconi e Mediaset hanno usato il potere del governo in questo modo sin dai tempi del primo ministro Bettino Craxi".
Scrive ancora Thorne ad Obama: "la legge sembra scritta per dare al governo il potere di censurare o bloccare qualsiasi contenuto di Internet se il governo lo ritiene diffamatorio" perché "offrirebbe le basi per intraprendere azioni legali contro le organizzazioni di mezzi di comunicazione che dovessero entrare in competizione politica o commerciale contro membri del governo".
Ma la conferma più comica, come osserva anche Fabio Chiusi sul Nichilista, arriva dal timore di Thorne che il Decreto Romani possa "essere un precedente per Paesi come la Cina, che potrebbero copiarla o portarla a giustificazione dei propri attacchi contro la libertà di espressione". L’Italia, insomma, più avanti addirittura della Cina. Che cosa vi dicevo?
Fonti interne alla Confindustria avrebbero confermato a Thorne "il ruolo di Paolo Romani come leader all’interno del governo per aiutare Mediaset a mettere Sky in una situazione di svantaggio". Il Decreto Romani sarebbe solo "un modo per controllare il dibattito politico su Internet" e, "vista da una prospettiva commerciale, la norma diretta a limitare i video e le televisioni disponibili su Internet aiuta Mediaset mentre la società del premier esplora il mercato della televisione via Internet".
Nei cablogrammi Thorne ricorda che da anni gli Stati Uniti hanno fatto pressioni sul governo italiano perché approvi leggi che evitino conseguenze legali per chi opera su Internet, "inclusa l’infame intenzione di esigere che i blogger debbano avere la licenza di giornalisti, che viene concessa dal governo". Se qualcuno si fosse chiesto perché io e Di Frenna avessimo scelto l’ambasciata americana, all’epoca, per inscenare la protesta contro il Decreto Romani, eccolo servito.
Grazie a tutti gli audaci che ci hanno seguiti a Roma. Come vedete, anche in conseguenza della forte attenuazione della pericolosità del Decreto Romani ottenuta sia a livello di definizione normativa sia a livello attuativo in sede AgCom, i vostri sforzi non sono stati vani.