Andy Warhol, perché è morto? Svelato il segreto 30 anni dopo

NEW YORK  – Svelato il segreto della morte di Andy Warhol: il chirurgo John Ryan spiega che l’operazione di routine a cui fu sottoposta l’icona pop, era tutt’altro che semplice e il rischio di decesso era altissimo. Nel 30° anniversario della morte di Warhol, a soli 58 anni, John Ryan, chirurgo in pensione e primario emerito al Virginia Hospital di Seattle, ha indagato su ciò che accadde all’interno della sala operatoria e rivelato che l’alone di mistero che circonda il decesso non è così nebuloso.

L’artista era stato ricoverato per quella che apparentemente doveva essere una semplice operazione alla cistifellea ma, a meno di 12 ore dall’intervento, è stato dichiarato morto. La notizia della scomparsa di Warhol, nel 1987, fece scalpore: un uomo abbastanza giovane era deceduto per un semplice intervento ma Ryan, afferma che quanto riportato dai media all’epoca, era sbagliato. “Era un intervento importante e non di routine, su una persona molto malata”, ha detto Ryan al New York Times.

Osservando la storia clinica dell’artista, il chirurgo ha scoperto che da 15 anni soffriva di colecisti, come suo padre a cui fu asportata la cistifellea nel 1928, anno della nascita di Warhol.
Almeno un mese prima della sua morte, stava già male ma aveva cercato di nasconderlo; inoltre, la paura degli ospedali, è stato un altro fattore che ha inciso sulla possibilità di essere curato seriamente. Alla fine si decise e si fece visitare dal famoso chirurgo Bjorn Thorbjarnarson, che aveva curato lo Scià di Persia, ma affermò che preferiva un trattamento che gli consentisse di rimanere a casa.

Thorbjarnarson rifiutò, disse a Warhol che doveva essere operato e dopo tre giorni fu ricoverato al New York Hospital (ora New York Presbyterian). In sala operatoria, Thorbjarnarson trovò la cistifellea ormai in cancrena, tanto che appena rimossa si spappolò. Le cartelle cliniche prese in esame da Ryan, dicono che Warhol era disidrato, emaciato e nell’ultimo mese si era nutrito poco.

Warhol, inoltre, assumeva speed quotidianamente da anni e sentiva tutte le conseguenze del tentato omicidio del 1968, quando Valerie Solanas, una scrittrice femminista radicale, gli sparò. Al pronto soccorso, all’epoca, era stato dichiarato morto: aveva nove organi danneggiati ma ebbe la fortuna di essere operato da un eccellente chirurgo. Sopravvisse ma si portò dietro parecchi postumi permanenti: difficoltà a deglutire, anche il cibo, addome compromesso che provocò un’ernia.

Thorbjarnarson, oltre alla rimozione della cistifellea, ricostruì la parete addominale di Warhol e l’operazione sembrava essere riuscita: l’artista in camera faceva delle telefonate, un’infermiera lo andò a controllare alle 4 del mattino e disse che andava tutto bene. Due ore dopo, tornò in camera: Warhol era blu e non rispondeva, fallì ogni tentativo di rianimazione. L’autopsia concluse che il decesso era avvenuto per “fibrillazione ventricolare”, un’aritmia caratterizzata da contrazioni rapide, inefficaci ed irregolari dei ventricoli, considerata tra le cause principali di arresto cardiaco o di morte improvvisa cardiaca.

Stewart Redmond Walsh, professore di chirurgia vascolare alla National University of Ireland, Galway, ha studiato la morte improvvisa dell’artista dopo l’intervento chirurgico, e afferma che è più comune di quanto si pensi. Ha spiegato che quando una persona malata si sottopone a un intervento chirurgico importante, tutto il corpo avverte lo stress e può essere fatale.
Walsh ha affermato che Warhol è “stato sfortunato”, ma quanto una persona investita da un’auto mentre attraversa la strada e Ryan, al proposito, ha infatti osservato che aveva solo il 4.2% di probabilità di morire.

Gestione cookie