Bertoldo 8. Atto terzo: Wrestling – La salute innanzi tutto

ATTO TERZO

VOCE NARRANTE: La sala del Trono è come sempre affollata di cortigiani, clienti, pubblico di curiosi e sudditi in attesa. Tra spintoni e scherni dei soldati Bertoldo viene tra-sportato quasi di peso davanti all’Arciduca che, tranquillo e sorridente, sembra avere dimenticato le provocazioni e le volgarità dell’ultima udienza.

ARCIDUCA: Accostati Bertoldo, e fai conto ch’io abbia perdonato le tue insolenze.

BERTOLDO: Cavoli riscaldati e amore ritornato non furono mai buoni. Del resto io non ho perdonato le risate della tua Corte. Rifiuto di essere guardato come un buffone. Io sono un filosofo nazional-popolare.

ARCIDUCA: Adesso lasciami ai miei uffici. Con te ri-prenderemo più tardi.

VOCE NARRANTE: Questa infatti è una giornata di udienza generale. Tutti i giovedì i portoni del Palazzo si spalancano e ne sono ammessi i villici per manifestare all’Arciduca le loro personali controversie e supplicarlo di dirimerle. Bertoldo assiste, or approvando le sentenze del Serenissimo or disapprovandole con mosse della testa sghimbescia. Quando si approssimano al trono due giovani contadine dalla vaghezza molto desiderabile, l’attenzione vuoi del bifolco, vuoi degli innumerevoli cortigiani e vuoi dei postulanti si fa acuta.

CANCELLIERE: La donna bionda qui ai tuoi piedi, Maestà, accusa la donna bruna di averle rubato il damerino, e la bruna accusa la bionda dell’incontrario. Il damerino è questo bel tomo, un torello dai capelli inanellati, come vedi Serenissimo, dalla muscolatura rigonfia, dall’imponente statura. Un Adone. Ma un Adone sordo e muto dalla nascita, sicchè il solo che potrebbe dir una parola di verità tra le opposte querele è costretto dalla cattiva sorte a tacere.

GAZZETTIERE: Protesto, Vostra Eccellenza, per il linguaggio offensivo del Cancelliere.

CANCELLIERE. Offensivo? Ma senti un po’ questo gazzettiere! Linguaggio offensivo a me, che mi faccio onore e scrupolo di attenermi alle strette norme del protocollo…

GAZZETTIERE: Offensivo! Lui ha definito sordomuto il bel giovane. Chiunque sia politicamente corretto, e non è questo il caso del Cancelliere, rispetterebbe le regole non scritte vigenti presso una incalcolabile parte del popolo, che impongono un eufemismo appropriato. Dire a uno che è sordomuto è oltraggiarlo. Dev’essere chiamato “non parlante-non udente”, così come chiamiamo “anziano” e non vecchio l’individuo centenario, “diversamente abile” l’inabile zoppo o senza le gambe e “afroamericano” il colorato nero che vive e opera nel continente delle Americhe. Se vive e opera in Africa, basta africano.

CANCELLIERE: E con queste litoti bigotte, con queste figure retoriche cretine noi restituiamo udito e parola al sor-domuto? Giovinezza al vecchio? Agilità allo sbilenco? Colo-riamo di bianco il nero? Diamo loro maggiore dignità fingendo che non sono differenti da noi? Dimmi un po’, gazzettiere, un monco lo chiamerei “un privo d’arto superiore”? Un orbo “un semi-non vedente”? Un bambino, per non offenderlo, dovrei definirlo “un non-adulto”? E un individuo normale, nè sordo nè muto nè monco sarei costretto a dargli del “diverso dai non vedenti-non udenti e dai privi d’arto superiore”?

VOCE NARRANTE: Interviene con tutta la sua autorità l’Arciduca a porre fine alla futile bega, facendo scacciare dal Palazzo a colpi di frusta il Gazzettiere e, per malintesa equità e per non offendere i benpensanti, anche il Cancelliere. E ritorna alla lite donnesca.

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