Fumetti, "Dylan Dog detective del trascendente"

ROMA, 13 OTT – ''A ben vedere, la chiave del suo successo e' proprio la scelta di mettere in scena, fra mostri, zombie e fate morgane, l'autentico tabu' della nostra societa', l'ultimo rimastoci, la morte: la sua auto, per dire, e' un vecchio maggiolone decappottabile targato DYD 666, cifra della Bestia anticristiana nel linguaggio simbolico dell'Apocalisse''. E' una lettura trasversale di Dylan Dog, tra i piu' noti personaggi a fumetti della scuderia di Sergio Bonelli Editore, quella che il mensile Jesus pubblica nel numero di ottobre.

A raccontarla Brunetto Salvarani, teologo laico e critico letterario, che celebra i venticinque anni del personaggio nato dalla fantasia di Tiziano Sclavi offrendo un approfondimento storico-letterario di ampio respiro. Per spiegarne il valore e la ragione di un successo editoriale senza soluzione di continuita'. Partendo, dunque, dalla dichiarazione di Umberto Eco ''Posso leggere la Bibbia, Omero e Dylan Dog per giorni e giorni senza annoiarmi'', Salvarani analizza le tematiche che emergono da un excursus sugli albi piu' significativi dal 1986 a oggi.

Oltre a quello sulla morte, di cui la costellazione di zombie rappresenta un topos strutturale, il teologo rivela elementi di psicologia sociale ''il fumetto di Sclavi, nell'aiutare i ragazzi a morire simbolicamente, contribuisce a un'impresa che la societa' degli adulti riesce sempre meno realizzare: ne favorisce la crescita, il diventare a loro volta adulti''.

E ancora: ''la consuetudine al confronto con l'altro cui ci ha abituati la fantasia di Sclavi finisce per essere un prezioso antidoto contro qualsiasi tentazione razzista o chiusura xenofoba. L'altro, il mostro, il freak, l'emarginato, il capro espiatorio di turno, e' il migliore dei maestri possibili, perche' ci mette in discussione in modo radicale, facendoci toccare con mano i nostri limiti e la nostra finitezza''.

Senza escludere caratteristiche puramente stilistico-narrative ''e' frequente la sovrapposizione tra la fabula e l'intreccio, l'uso del taglio cinematografico, del flashback e dell'anticipazione di eventi futuri e/o possibili, in una sorta di straniamento continuo dovuto a un sapiente melange di cultura classica e pop, di contaminazioni fra elementi horror, realistici e ironici'', comunque funzionali ad una poetica che ragiona sull'uomo e sulla visione della vita: ''perche' il problema piu' drammatico che ci riguarda e' che ben di rado riusciamo a convertire i nostri sguardi sul mondo, irrimediabilmente annegati come siamo in un grigiore piccino incapace di aprirsi al sogno, all'inedito, ai miracoli sottesi nel quotidiano…''.

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