“A chi giova la bufera Marchionne?”, Vittorio Malagutti per Il Fatto Quotidiano

Pubblicato il 7 Gennaio 2011 - 13:25 OLTRE 6 MESI FA

Blitz quotidiano vi propone oggi come articolo del giorno quello di Vittorio Malagutti per Il Fatto Quotidiano, il quale cerca di spiegare chi è che giova veramente dalla bufera Marchionne. Il tutto naturalmente alla luce del nuovo contratto Fita su Mirafiori e dell’arroccamento della Fiom.

Quattro anni fa, conversando con un giornalista, Sergio Marchionne si lasciò sfuggire uno sfogo sorprendente. “A 60 anni mollo tutto”, disse il manager che a quell’epoca veniva celebrato, a ragione, come il salvatore della Fiat. La frase forse tradiva stanchezza o piuttosto la consapevolezza che c’era ancora molto da lavorare per rimettere davvero le cose in ordine nella più grande azienda industriale italiana. A quattro anni (e una recessione) di distanza proviamo a prendere sul serio quelle parole. Immaginiamo che Marchionne abbia davvero intenzione di ritirarsi entro il 17 giugno 2012, giorno del suo sessantesimo compleanno. Una data che segue di un paio di settimane (sarà un caso?) la conclusione del suo secondo mandato quadriennale alla guida del gruppo dove arrivò, lui che in Italia era un perfetto sconosciuto, nel giugno del 2004. A QUESTO PUNTO, allora, vale la pena farsi una domanda: che Fiat lascerà Marchionne, se davvero deciderà di ritirarsi tra 18 mesi, quando taglierà il traguardo dei 60 anni? Per azzardare una risposta dobbiamo partire da lontano. Tracciare una rotta, fondata il più possibile sui risultati delle scelte gestionali, che ci porti fino all’appuntamento (per ora del tutto ipotetico) dell’anno prossimo. Per capire meglio, però, è indispensabile lasciar perdere il polverone polemico di queste settimane. Un torrente di parole che il manager venuto dal Canada ha saputo indirizzare dove voleva lui. Concentrando l’attenzione dei media e dei commentatori sugli aspetti politico-sindacali delle sue scelte gestionali. Con il risultato di mettere in secondo piano la sostanza dei problemi. Che riguardano innanzitutto il mercato, cioè le vendite, e quindi i dati di bilancio. Allora è perfino troppo facile accorgersi che il Marchionne di questi giorni, quello che zittisce i sindacati critici con un “faremo a meno di voi”, non è un Marchionne nuovo rispetto a quello che cinguettava sornione con le parti sociali e veniva definito “borghese buono” da Fausto Bertinotti (estate 2006). Allora come adesso il capo della Fiat ha dimostrato una straordinaria abilità nel parlar d’altro. Tutti si concentrano su di lui, discutono del suo stile di comunicazione, delle sue controverse scelte politiche. Pochi prestano attenzione ai risultati e alle prospettive di mercato.

È senz’altro vero che tra il 2004 e il 2005 Marchionne ha riportato a galla una Fiat prossima alla catastrofe. Il nuovo numero uno, nato contabile, se la cava da par suo e rimette in ordine il bilancio grazie soprattutto a grandi risparmi di costi e operazioni finanziarie varie. Ed è così che nel novembre 2006 Marchionne può permettersi di annunciare che Fiat è fuori dalla crisi. “Guadagniamo cinque milioni al giorno, prima ne perdevamo due”, spiega. Nasce il mito del manager con il pullover, del capoazienda che guida le convention sulle note di Bobby Mc Ferrin, quello di “Don’t worry, be happy”. A rafforzare l’immagine dell’impavido condottiero non mancano neppure le citazioni del Braveheart di Mel Gibson “Gli uomini non seguono gli altri uomini, seguono il coraggio”. Già, il coraggio. Forse scoraggiati da questo diluvio di melassa pochi commentatori si assumono il fastidioso compito di segnalare che la straordinaria ripartenza di Fiat avviene al traino di un mercato globale che tiene o cresce leggermente e grazie al successo di nuove versioni di vecchi modelli come Grande Punto e Panda. Tra l’altro il baricentro commerciale in quegli anni si sposta sempre più dall’Italia verso il Brasile. Il trend prosegue fino ai nostri giorni, quando in base agli ultimi dati, il Brasile si avvia a diventare il primo mercato della Fiat. Sul piano del fatturato però il successo brasiliano non basta a compensare il calo in Italia. Nel 2006, nel pieno dell’euforia, il gruppo di Torino pubblica il piano industriale 2007-2010 con target molto ambiziosi. Fatturato di 67 miliardi di euro, nel 2006 erano arrivati a 51,8 miliardi, utile netto di 3,5 miliardi (1,1 miliardi nel 2006), 2,3 milioni di auto vendute (una crescita del 30 per cento sul 2006) e 23 nuovi modelli oltre a 16 restyling. Un piano che di lì a poco diventerà carta straccia per effetto del crollo dei mercati. Marchionne nel frattempo si esibisce tra gli applausi della platea. E sembra addirittura non preoccuparsi troppo quando nell’estate del 2007 dall’America, che pure dovrebbe conoscere bene, arrivano i primi scricchiolii che innescheranno poi la gigantesca crisi globale dell’anno successivo.

Anche la Fiat, come tutti i suoi concorrenti subisce il colpo, ma a differenza degli altri grandi gruppi continentali Torino non dispone di una scuderia di nuovi modelli su cui puntare quando il mercato riprenderà a tirare. Marchionne lo sa bene. E con l’affare Chrysler si conferma uno specialista in operazioni straordinarie. Qualcosa di diverso, quindi, da un risanatore industriale. Piuttosto un uomo di finanza che sa sfruttare al meglio le occasioni di mercato. La scissione tra auto e veicoli pesanti varata in questi giorni ne è la conferma più evidente. Proiettato sull’America, adesso Marchionne può permettersi di non perdere tempo in discussioni qui in Italia, dove le vendite continuano a calare. Non c’è più tempo per frasi del tipo “L’efficienza non può essere l’unico elemento che regola la vita” (maggio 2008). A chi chiede i particolari del faraonico piano di investimenti annunciato per gli stabilimenti nel nostro Paese il capo della Fiat adesso risponde infastidito che la richiesta gli pare “offensiva”. È questo il nuovo Marchionne, quello che ormai passa più tempo a Detroit che a Torino con l’obiettivo di varare in tempi brevi altre due operazioni straordinarie. La quotazione in Borsa di Chrysler e l’acquisto del 51 per cento del capitale (ora Torino è al 20) della casa americana. A quel punto, Fiat e Chrysler saranno una cosa sola. Ma gli americani peseranno di più rispetto all’auto con targa italiana. E allora a cose fatte, nella primavera del 2012, Marchionne potrebbe davvero “mollare tutto” qui da noi. Magari per comandare da Detroit.