Gaza: speranze, retroscena e realtà di macerie

Si festeggia a Gaza il cessate il fuoco in seguito alla proosta di pace egiziana
Si festeggia a Gaza il cessate il fuoco in seguito alla proosta di pace egiziana (LaPresse)

ROMA – Grida di gioia, spari in aria e bandiere nella brezza calda di Gaza. Una nuova tregua, negoziata per essere duratura, è entrata in vigore ieri sera, 26 agosto, dopo un’ennesima giornata di violenza. L’annuncio formale è stato dato dal presidente palestinese mentre dal Cairo sono arrivati pochi dettagli di un compromesso che assomiglia alle già fallite proposte egiziane ma che sembra nascondere garanzie indirette per la soluzione di alcune questioni fondamentali riguardo gli abitanti della Striscia e l’impegno di una parte della comunità internazionale ad affrontare il futuro della Palestina.

 

Scrivono sul Messaggero di Roma, Eric Salerno e Roberto Romagnoli:

Dopo tre guerre a Gaza «serve molto più di un accordo limitato» ha sottolineato Abu Mazen illustrando a ministri e collaboratori la sua visione di una soluzione del conflitto. Hamas porta a casa la riapertura del valico con l’Egitto e di quelli con Israele e l’estensione del diritto di pesca oltre i limiti finora permessi da Israele.

Pochi minuti dopo le 19 (18 italiane) da Gaza sono finiti i tiri contro le comunità meridionali d’Israele e alla stessa ora il ministero della difesa a Tel Aviv ha confermato di aver ordinato alle truppe di non sparare più. Se la tregua reggerà, israeliani e palestinesi si ritroveranno al Cairo entro un mese per discutere tutte le questioni sul tavolo, dalla fine totale del blocco (con la creazione di aeroporto e porto) alla smilitarizzazione della Striscia chiesta da Israele. Si parlerà anche del rilascio dei palestinesi arrestati in Cisgiordania negli ultimi due mesi, ossia dopo l’assassinio dei tre giovani seminaristi nei pressi di Hebron. “Uno a zero a favore di Hamas”, titolava un quotidiano israeliano poche ore prima dell’annuncio dell’accordo. I leader del movimento islamico, costola dei Fratelli musulmani egiziani, gridano vittoria. Fonti israeliani si difendono affermando che i termini del cessate il fuoco sono l’essenza della proposta egiziana di un mese fa. Il prezzo della testardaggine degli uni e degli altri, è il numero alto di vittime palestinesi e la devastazione massiccia compiuta dai bombardamenti israeliani a Gaza e i danni ingenti risultati dai mortai e missili che hanno colpito le comunità dell’Israele meridionale. Alla tragedia umana e ai costi economici si aggiunge il complicato risultato politico dell’accordo.

Come fecero quando l’allora premier Sharon annunciò il ritiro da Gaza, non sarà difficile per i leader di Hamas convincere la piazza palestinese che la lotta armata rende più del negoziato fatto da un dirigente votato alla non violenza. Anche se è stato Abu Mazen, ad annunciare da Ramallah i termini della tregua, il presidente rischia di essere visto come inadeguato a portare avanti futuri negoziati con Israele. Il premiere israeliano ha fatto di tutto per indebolirlo e se oggi Abu Mazen può ringraziare qualcuno si tratta del presidente egiziano. Il generale al-Sisi, nemico dichiarato di Hamas, ha acconsentito alla riapertura del valico di Gaza (per il passaggio soprattutto di aiuti umanitari e materiali per la ricostruzione) ma soltanto sotto il controllo delle forze di polizia dell’Anp. Anche Netanyahu esce in difficoltà da questi cinquanta giorni di guerra. La sua popolarità è scesa al 38 per cento (dall’82 per cento all’inizio delle operazioni di terra) e deve fronteggiare ora la rivolta di buona parte dei suoi ministri contro la decisione di sottoscrivere la tregua. Fino all’ultimo minuto, ieri sera, kibbutz e altre comunità nel Negev sono stati sottoposti a pesanti bombardamenti. Un uomo è morto, altri tre sono feriti (a Gaza i morti della giornata sono sei) e l’annuncio della tregua è stato accolto con rabbia. «Nessuno di noi tornerà nelle case», ha detto alla tivù Haim Yallin, un responsabile locale. Il governo «non ha saputo garantire la nostra sicurezza e il nostro futuro» (…)

Si potranno contare le case distrutte o parzialmente danneggiate, gli ospedali e le scuole spazzate via, i crateri nelle strade, le linee elettriche da rimettere in piedi, la quantità la rete idrica da riparare. Si potranno quantificare i costi per rimuovere le macerie, per la ricostruzione di quanto è stato raso al suolo e reso inutilizzabile, per la bonifica delle bombe inesplose. Si parlerà di metri cubi e di miliardi ma alla fine il conto non tornerà mai e quello che mancherà dal totale nessuno lo potrà mai quantificare.

La guerra di quest’estate ha provocato oltre duemila morti tra gli abitanti di Gaza tra cui oltre 400 minori. Il che fa supporre che Israele abbia superato la forza di fuoco di sei anni fa. Secondo Sari Bashi, co-fondatore della Ong israeliana Gisha, considerando i tempi di ricostruzione attuali, ci vorrebbero «100 anni» per ricostruire Gaza. A occhio e croce questa volta le case rase al suolo o danneggiate in modo tale da non poter essere abitate sarebbero quasi 12mila. I bombardamenti isrealiani avrebbero distrutto ospedali, strade, scuole, reti idriche, fabbriche e infrastrutture per un valore di ricostruzione di circa 6 miliardi di dollari. Secondo Mahir al-Tabaa, responsabile della Camera industriale di Gaza «oltre 350 impianti industriali, tra cui 50 di importanza strategica» sono stati distrutti. La Comunità internazionale è orientata a fissare gli aiuti per la ricostruzione più o meno alla stessa cifra stabilita dopo l’operazione “Piombo fuso”: 4,5 miliardi di dollari.

Poi ci sono i danni causati dai bombardamenti al settore agricolo, cosa che ha determinato un impennata dei prezzi di frutta e verdura, e a quello della pesca. Secondo stime delle Nazioni Unite gli attacchi israeliani hanno provocato ingenti danni «diretti» ai 17mila ettari di terra coltivata nella Striscia. Enormi anche quelli alle infrastrutture agricole: serre, sistemi di irrigazione, fattorie, foraggio. I danni causati all’industria alimentare sarebbero all’incirca di 150 milioni di dollari. Tante anche le imbarcazioni da pesca distrutte dai bombardamenti lungo la costa della Striscia. Due settori chiave messi in ginocchio che hanno tolto a gran parte della popolazione di Gaza – circa 1,8 milioni di abitanti – la possibilità di non dipendere dagli aiuti umanitari. Senza questi aiuti a Gaza si può anche morire di fame e di sete. La mancanza o la carenza di acqua potabile affligge tutta La Striscia da Nord a Sud.

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