Palmiro Togliatti a Nilde Jotti. Lettere d’ amore 60 anni fa: Nec tecum nec sine

Pubblicato il 24 Giugno 2013 - 07:57| Aggiornato il 20 Aprile 2020 OLTRE 6 MESI FA
Palmiro Togliatti a Nilde Jotti. Lettere d' amore 60 anni fa: Nec tecum nec sine

Palmiro Togliatti in vacanza con Nilde Jotti. A ds. Marisa Malagoli Togliatti, la figlia adottiva

Le lettere d’ amore tra Palmiro Togliatti e Nilde Jotti sono emerse dagli archivi del tempo e sono entrate in un libro. Sono una lettura emozionante e commovente per la forza dei sentimenti, la semplicità trasparente con cui questi sono espressi.

Simonetta Fiori le ha lette e ne ha fatto un articolo molto bello, intenso, pubblicato da Repubblica. Le lettere sono in un libro, “Nilde Jotti, una storia politica al femminile”, di Luisa Lama, che le ha avute, emerse da una scatola di legno intarsiato, opera di artigianato sorrentino, da Marisa Malagoli Togliatti, figlia adottiva della coppia, che i più anziani ricordano adolecente bionda e esile nelle patinate immagini delle vacanze in montagna del leader.

La storia d’ amore tra Palmiro Togliatti e Nilde Jotti, nei primi anni dopo la guerra, quando lui era il capo del più grande partito comunista del mondo fuori dell’ Unione Sovietica e lei era una giovane e bella deputata dello stesso Pci, ha fatto storia, rimanendo però sempre ingabbiato nella corazza rigida della politica e anche del politicamente corretto.

Le lettere d’amore che Palmiro Togliatti e Nilde Jotti si scambiarono nel primo anno del loro amore, lette oggi, sessant’anni dopo, colpiscono per la forza dei sentimenti, per la dolcezza e la tenerezza espressa da Togliatti, uno degli uomini più amati, dai suoi, e più odiati, da tutti gli altri: al punto di essere vittima di un attentato che quasi gli costò la vita.

Nessuno, né ardente seguace né estremo nemico, lo poteva immaginare così umano, lui, il Migliore, che giorno e notte pensava alla causa del comunismo, on quell’aura di chi viene davvero da lontano e tanto ha visto e vissuto, la voce un po’ metallica e nasale, aristocratica.

Sono cose d’altri tempi. Oggi se scrivi il Migliore su Google ti viene un ristorante di Miami. Allora, mentre Togliatti era tra la vita e la morte, l’Italia rischiò la guerra civile, fermata dall’ordine perentorio di Togliatti dall’ospedale ma secondo la vulgata sventata dalla epica e quasi impossibile vittoria di Gino Bartali al Tour di Francia.

Nilde Jotti è arrivata a essere un personaggio politico di rilievo, dignitosa, decorosa, alta al punto di cancellare dalla memoria anche degli avversari quei primi tempi di invettive e di scandalo. Erano anni difficili anche sotto il profilo del conformismo morale imperante, con il vescovo di Prato che dal pulpito denunciava a tutta la città la domenica una coppia di fatto dell’epoca come pubblici concubini e peccatori.

E con una parte importante della base comunista non si scherzava nemmeno, erano rigorosi e rigidi come i nemici democristiani.

Bastano queste poche citazioni per dare un’idea della forza prorompente dell’amore in Togliatti:

“Con tanta freschezza e impeto entrava il tuo sorriso nella mia vita che sembrava tutto rimuovere. Te l’ho detto una sera; come una striscia di sole in una stanza buia”.
 
“Tu mi hai dato ciò che nessuna donna… Ho abbandonato me stesso a te come mai avrei pensato che avrei potuto fare. Forse era stata troppo forte la tensione continua di questi due anni e irresistibile il richiamo che da me stesso veniva. Ma forse è vera la cosa più semplice di tutte — che ti voglio bene. Senza di te non so pensare la mia vita”.
 
“Non credevo che avrei tanto sofferto, di non ritrovarti, di non sapere quando ti ritroverò, di non avere nulla di te, di non sapere quando l’avrò. Ora mi pare che non potrò vivere così…”.
 
“Quanto ho fatto verso di te e con te non è mai stata un’intenzione frivola… Ho seguito un impulso più forte della mia volontà. Mi pare che possiamo e dobbiamo solo andare avanti, come in certi passi difficili di montagna… Questa è la lettera più seria che ti ho scritto, cara, stracciala, bruciala, rendimela. Ma voglimi bene!”.
 
 “Una cosa solo mi guiderà oltre a questa volontà, e voglio che tu lo sappia: il proposito di evitare a te che per l’affetto che tu mi porti, la tua vita possa essere più meschina di quella che la tua intelligenza e la tua devozione al Partito ti promettono”.
 
“Nina mia cara, tu mi hai fatto il dono di te stessa, ma cosa ti ho dato io che sia degno di questo dono? Forse sono stato solo un grande egoista…”.

Nelle lettere, scrive Simonetta Fiori, c’è

“il racconto del primo anno di segreta passione, dall’incontro a Montecitorio nell’estate del 1946 fino alla convivenza nell’abbaino di Botteghe Oscure [nel grande palazzo di Roma dove il Partito comunista aveva il quartier generale]. Una vicenda che intreccia clandestinità, ostilità del partito e nascita dell’Italia repubblicana”.

[…]

“Tutto cominciò da una «piccola carezza » azzardata sui capelli di Nilde, lungo lo scalone di Montecitorio. È il 30 luglio del 1946, da due settimane fervono a Roma i lavori per la nuova Carta Costituzionale. Ma nel retrobottega della grande Storia sta maturando la storia più minuta tra il mitico segretario comunista e la giovane deputata di Reggio Emilia. Li separano ventisette anni — 53 lui, 26 lei — e una gran quantità di cose: radici famigliari, formazione, status ed esperienza”.

Scrive Palmiro Togliatti:

Sei come una striscia di sole in una stanza buia“.

Il tono, nota Simonetta Fiori,

“è lieve, quasi allegro. Ma presto subentra il «sentimento di vertigine, come davanti all’abisso». [Palmiro Togliatti] non aveva mai provato quell’«impulso più forte della sua volontà», e teme di perderne il controllo”.

Scrive Togliatti:

Ho abbandonato me stesso a te come mai avrei pensato”. E ancora: «Nec tecum vivere possum nec sine te». Né con te né senza di te“.

Stringe il cuore il confronto con i leader di oggi, l’abisso di cultura che separa la generazione di cui siamo parte, tra bunga bunga e rimborsi elettorali, da quella dei padri della Repubblica. Intanto,

“pagine di block notes e fogli dell’Assemblea Costituente vanno riempendosi di parole d’amore, scritte a matita o a penna, mai con il leggendario inchiostro verde usato per il partito:

Nina mia”. “Non posso più vivere così“.

Scrive Simonetta Fiori:

“Si costruisce una nuova Italia, e i vecchi capi comunisti — quelli che avevano subito le vessazioni del fascismo e temuto le purghe staliniane — cominciano ad assaporare il gusto della libertà, anche il piacere delle comodità borghesi. Non c’è più spazio mentale per le antiche compagne, quelle di taglia forte e scarpa 41, che gli erano state accanto nelle tante battaglie della clandestinità. Succede a Togliatti, ma anche a Luigi Longo e Umberto Terracini.

[…]

“Il nuovo amore costringe Palmiro Togliatti a un viaggio dentro di sé, lo stesso che lo porterà a sfidare il partito e perfino il Cremlino”.

“Fino a quel momento è stato un uomo in fuga dalle emozioni, «non sai tu quante immagini di donne ho respinto dal mio cuore». Addirittura una volta, pur di resistere alla seduzione femminile, aveva rischiato di morire per gli alti sentieri di montagna. Lui, il gran capo temuto e adorato, che scappa davanti a un’amica richiedente. Sempre a Parigi rivede Carmen, la comunista spagnola che dieci anni prima l’aveva amato nelle traversie della Guerra civile. Improvvidamente, rievocando l’antico sodalizio, vi fa cenno in una lettera per Nilde: «È commovente come una donna possa amare senza chiedere nulla».  Nilde non è un’amante gretta né sprovveduta: «Ho pensato con un po’ di compassione a quella donna che certo ti ha amato. Quando non amerai più me, ti prego, non cancellarmi così».

“È una storia d’amore «dolce e terribile », quella tra il segretario e la giovane parlamentare. Incontri furtivi, strette di mano in pubblico. Ma nel novembre del 1946 la stampa satirica comincia a bersagliarli, ritraendoli sul divanetto di Montecitorio in pose ridicole. A Botteghe Oscure i pettegolezzi si caricano di tinte velenose”.

“Alla Camera Nilde  incrocia Rita Montagnana e il suo sguardo «duro, pieno di rancore e odio, appena filtrato dalle palpebre socchiuse ».

“Ma il nemico più temibile è il partito, un’entità entusiasmante e crudele che per mille motivi non accetta questo amore irregolare”.

Bastano queste parole di Nilde Jotti per mostrare la terribile esperienza:

“Oggi [4 novembre 1946] ho avuto una discussione con il segretario della nostra federazione [Reggio Emilia].È stato quasi un processo e sono venuta via profondamente umiliata… Eppure oggi mi sento di lottare con le unghie e con i denti per difendere un sentimento che è mio e solo mio”.
E tre mesi dopo:
“Questa notte non ho dormito per niente in viaggio: mi martellavano nel cervello i nostri due nomi uniti nel silenzio dell’aula (nello spoglio per le elezioni di Terracini alla presidenza della Camera erano state contate due schede nulle: forse i due nomi di Nilde e Palmiro erano stati accostati da una mano non proprio amica, ndr). Ho creduto in quel momento di venir meno tanto mi sono sentita indignata e disgustata di così degenerato costume politico… Ho timore di tornare a vedere il tuo viso, di incontrare il tuo sguardo. Forse tu vorrai dirmi anche senza parole che non si può continuare, che bisogna troncare tutto? Non posso pensarci”.

“Nel febbraio del 1947, una pausa inaspettata rallenta l’intensità del carteggio. Palmiro non risponde alle lettere, e Nilde scopre che è a casa ammalato, per giunta accudito dalla legittima moglie. «Sono certa che tu guariresti prima se potessi curarti io», incalza Nilde con modi quasi infantili. Sembra disposta a tutto, perfino a chiedere notizie all’autista-custode Armandino, che non le mostra grande simpatia.

«Solo allora ho rinunciato a venire a casa tua», scrive a Palmiro in toni sommessamente minacciosi. In una lettera successiva accenna anche a un desiderio di maternità, «a volte vorrei davvero che qualche cosa di te restasse in me, forse allora capiresti ciò che sei per me».

“Dopo qualche anno quel figlio desiderato sarebbe stato concepito, ma il triste epilogo resta avvolto nel mistero.

“In quegli stessi mesi, in parlamento, le sinistre combattono per una famiglia moderna, fondata sull’eguaglianza tra coniugi e sulla parità legale dei figli, nati dentro e fuori del matrimonio. Fortificata dalla sua stessa esperienza privata, Nilde resterà sul fronte a difendere i nuovi diritti. E il divorzio? No, su quel terreno non può battersi. C’è il rischio di una rottura con i cattolici, e Togliatti preferisce lasciar cadere. Ma nel privato — come già Longo e Terracini— prova a ricorrere alla “Sacra Rota Comunista”. Nel dicembre del 1953 fa domanda per risiedere almeno un anno a San Marino, dove il divorzio è cosa lecita. Ma sarà costretto a rinunciarvi, scoraggiato dal clamore mediatico che colpisce Longo. Sono i paradossi della doppia morale.

“Nell’album della famiglia comunista, Nilde dovrà aspettare ancora molti anni prima di trovare ufficialmente posto accanto a Palmiro. Accadrà nell’agosto del 1964. Ai funerali di Togliatti le viene concesso un ruolo d’onore, prima fila dietro il feretro. Se come sposa era rimasta invisibile, in qualità di vedova poteva ottenere l’agognato riconoscimento”.