Quei papà-orsetti “sindacalisti” dei figli. E l’Italia non cresce

ROMA – Di “papà-orsetti” in Italia se ne vedono tanti, sono quelli pronti a difendere i figli ad ogni costo, quelli che non accettano di incassare ramanzine sui giovani “bamboccioni” o troppo “pigri” per questo mondo del lavoro. Antonio Polito dalla prima pagina del Corriere della Sera lancia un j’accuse ai padri d’Italia troppo protettivi, alle madri troppo “chiocce” del Belpaese che ormai non è più quello di un tempo, dove comprare casa e un lavoro fisso e a tempo indeterminato non erano privilegi di pochi.

Atteso il debito tempo per far sbollire la furia del post “sparata” sugli sfigati a 28 anni senza laurea (copyright del viceministro Michel Martone), l’ex direttore del Riformista ex vicedirettore di Repubblica, scrive: “Ricapitoliamo. I nostri figli hanno diritto ad essere fuori corso anche dopo i 28 anni senza che austeri ministri li definiscano bamboccioni o frivoli viceministri diano loro degli sfigati. Però a 28 anni hanno diritto a un posto di lavoro non solo stabile e comparabile alle loro aspirazioni, il che è ragionevole, ma anche inamovibile e sorvegliato da un giudice ex articolo 18”.

Se i figli sono così forse è colpa dei genitori diventati praticamente “sindacalisti della prole”, secondo Polito. Il giornalista si passa una mano sulla coscienza e snocciola esempi di prototipi di genitori troppo protettivi che per i figli rivendicano diritti e forse chiedono poco fatiche. Addirittura per Polito se l’Italia non cresce è colpa dei papà-orsetti, grande fattore di freno alla crescita, non solo economica ma anche psicologica della nazione.

L’elenco da ricapitolare dei desiderata dei genitori, Polito lo continua così:

“Hanno inoltre diritto a una facoltà nel raggio di 20 chilometri da casa, così che non debbano vivere lontano dalla famiglia, e dunque hanno diritto a non fare quei «Mcjob» (commessi, camerieri, pony express), che i loro più sfortunati coetanei americani sono costretti ad accettare temporaneamente per mantenersi agli studi. Infatti i nostri figli non devono mantenersi agli studi, perché lo Stato chiede a ciascuno di loro tra i mille e i duemila euro l’anno mentre ne spende in media settemila (e molto di più per formare, per esempio, un medico); dunque a mantenerli agli studi ci pensa la fiscalità generale, cioè le tasse pagate anche da chi i figli all’università non li manda. Frequentando l’ateneo con comodo e senza fretta, i nostri figli hanno anche diritto a che il valore legale della loro laurea sia identico a quello di chi la laurea se l’è sudata un po’ di più, magari emigrando, magari in cinque anni, magari in un’università in cui i 110 non fioccano dal cielo, perché in una società veramente egualitaria tutte le lauree devono essere uguali come tutti i gatti di notte devono essere bigi. Se poi i nostri figli per caso volessero continuare la loro carriera universitaria dopo la laurea, hanno diritto a non farlo all’estero, lì dove fuggono i cervelli, ma in patria, lì dove ammuffiscono i cervelli. Naturalmente, hanno infine il diritto di protestare contro questo stato di cose e contro chi ruba loro il futuro, «Occupyando» qua e là tra gli applausi dei contestati medesimi”.

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