“Rosenberg, l’addio ai figli delle spie di Stalin”, Vittorio Zucconi su Repubblica

di Redazione Blitz
Pubblicato il 20 Ottobre 2014 - 09:08 OLTRE 6 MESI FA
Julius and Ethel Rosenberg

Julius and Ethel Rosenberg

ROMA – “Mangiate, fate i bravi” l’addio ai figli delle “spie di Stalin” è il titolo dell’articolo a firma di Vittorio Zucconi su Repubblica che Blitzquotidiano vi propone come articolo del giorno:

Non era un spia, era soltanto una madre, la donna che sulla soglia della sedia elettrica scrisse ai figli: «Vi conforti sapere che noi siamo sereni. Ricordate sempre che noi siamo innocenti». Era il 19 giugno del 1953, il giorno in cui Ethel Rosenberg, con suo marito Julius, fu messa a morte a Sing Sing per un reato mai commesso: spionaggio per l’Urss. Ora che, mezzo secolo più tardi, vengono messe in mostra dalla Boston University le ultime lettere dal carcere dove per due anni avevano atteso un’esecuzione decisa e voluta per placare la sete di “streghe” che ossessionava l’America, la verità giudiziaria su questa coppia simbolo della paranoia rossa non cambia. Cambia la conoscenza di un uomo e di una donna intrappolati nella simbologia crudele della Guerra fredda e divorati dalle crisi di isteria ideologica dalle quali nessuna nazione è immune.

Julius aveva fatto la spia per Stalin, come più tardi riveleranno i documenti russi dell’”Operazione Venona”. Ethel mai. Fu il fratello, lui sì una spia, morto proprio in questi giorni dopo avere ammesso la verità, a deporre il falso contro di lei al processo del 1951 e a darla in pasto al maccartismo paranoide per salvare il proprio collo.

Il “Caso Rosenberg” divenne l’”Affare Sacco e Vanzetti” per la generazione del dopoguerra, un esempio sensazionale della ingiustizia sommaria applicata per placare il terrore del nemico vero o immaginario, l’anarchia e l’immigrazione dal sud Europa negli anni Venti, l’orso russo negli anni Cinquanta.

Neppure i due si resero conto fino agli ultimi giorni di avere commesso colpe tanto mostruose da mobilitare il boia.
Nelle lettere di Julius e Ethel si percorre il cammino del loro progressivo sbigottimento per il montare di un giustizialismo alimentato da un mondo politico sconvolto dalla scoperta che la “Bomba”, creata dagli scienziati del Progetto Manhattan e considerata un’esclusiva degli americani, era finita, appena quattro anni dopo Hiroshima, nell’arsenale di Stalin. «Il nostro avvocato — scrive Julius che, insieme al cognato, aveva passato ai sovietici informazioni giudicate “quasi irrilevanti” dallo stesso responsabile del Progetto Manhattan— ci tranquillizza e ci assicura che non esistono elementi per una condanna a morte». «La civiltà non è ancora progredita al punto di non dover perdere la vita per salvare vite» scriveva la madre ai figli.

Sia Julius che Ethel erano stati iscritti al partito comunista americano, il Workers’ Party, e questa era già colpa sufficiente nel mondo in bianco e nero del tempo. Julius non passò mai nulla di importante agli uomini di Stalin, certamente nulla che potesse avvicinare i dettagli che la vera superspia sovietica, Klaus Fuchs, destinato a morire di vecchiaia, aveva fatto filtrare da Los Alamos. Ethel fu spedita sulla sedia elettrica perché il fratello testimoniò di averla vista battere a macchina sotto dettatura del marito le informazioni segrete (…)