ROMA – Errori veri e presunti di Einstein. Vincenzo Barone pubblica sul Sole 24 Ore un interessante articolo che racconta un aneddoto legato alla pubblicazione del saggio L’evoluzione della fisica:
“Per garantire un introito al suo collaboratore Leopold Infeld, che non aveva ancora un posto in università, nel 1938 Einstein decise di scrivere assieme a lui un saggio destinato a diventare famoso, L’evoluzione della fisica. Durante la stesura Infeld gli confessò di sentirsi particolarmente in ansia, visto che il libro avrebbe recato in copertina il nome del più celebre scienziato del mondo. «Non è il caso di preoccuparsi – lo tranquillizzò Einstein –, ci sono anche lavori sbagliati con la mia firma».”
“Einstein sapeva benissimo che gli errori fanno parte del gioco della scienza e riteneva che non dovessero creare particolari imbarazzi. Ne aveva commesso qualcuno e non si vergognava di ammetterlo. Nel linguaggio comune la parola «errore» ha varie sfumature, e quando la si applica alla scienza conviene essere accorti”.
“Prescindendo completamente dall’uso del termine come sinonimo di «incertezza di misura» (frequente in fisica), possiamo distinguere due tipi di errori nella normale attività scientifica:
1) i veri e propri sbagli, nei calcoli, nelle deduzioni o nella conduzione di un esperimento;
2) le ipotesi, le teorie e i programmi di ricerca che si rivelano a posteriori fallaci.
Entrambe queste situazioni sono perfettamente fisiologiche (la prima è addirittura universale – errare humanum), e solo una visione superficiale dell’impresa scientifica può dipingerle come macchie nella reputazione degli scienziati (anche dei più grandi) o come passi falsi sulla via della verità”.
“Nel caso di Einstein, gli errori del primo tipo sono spesso legati alla peculiare struttura logica della relatività generale, che rende di difficile lettura alcune sue predizioni. Fu così, per esempio, che egli pensò per un breve periodo nel 1936, di aver dimostrato – vent’anni dopo averle previste – l’irrealtà delle onde gravitazionali. Di questo sbaglio si accorse quasi subito, mentre non corresse mai i risultati di quello che alcuni storici della scienza considerano il suo peggior lavoro scientifico, un articolo del 1939 in cui sosteneva l’impossibilità del collasso gravitazionale di una stella fino allo stato di buco nero (negli stessi giorni J. Robert Oppenheimer e Hartland Snyder erano giunti – correttamente – alla conclusione opposta) (…)”.