Zemanlandia è arrivata alla zeta. Enrico Sisti su Repubblica

di Antonio Sansonetti
Pubblicato il 23 Dicembre 2014 - 15:30 OLTRE 6 MESI FA
Zemanlandia è arrivata alla zeta. Enrico Sisti su Repubblica

Zdenek Zeman durante Cagliari-Juventus 1-3 (Lapresse)

ROMA – Zdenek Zeman è stato esonerato dal Cagliari dopo una sconfitta 1-3 in casa contro la Juventus, la squadra che nel bene o nel male ha segnato il destino del sessantasettenne tecnico boemo. Pare che fra i motivi che hanno indotto il presidente Tommaso Giulini all’esonero di Zeman ci sia proprio il fatto che, per affrontare la Juve di Allegri, l’allenatore abbia rinunciato al suo marchio di fabbrica, il 4-3-3, per un più accorto 4-4-2. Ma Giulini non aveva preso Zeman perché facesse giocare la sua squadra in difesa.

Così, dopo 2 vittorie (4-1 in casa dell’Inter e 4-0 in casa dell’Empoli), 6 pareggi (1-1 a Sassuolo, 2-2 in casa con la Sampdoria, 1-1 in casa col Milan, 1-1 in casa col Genoa, 3-3 a Napoli, 0-0 a Parma) e 8 sconfitte (1-2 con l’Atalanta, 0-2 a Roma, 1-2 col Torino, 0-1 a Verona, 2-4 in casa della Lazio, 0-4 con la Fiorentina, 0-2 col Chievo, 1-3 con la Juventus), 21 gol fatti e 29 subiti, per 12 punti che hanno portato il Cagliari al terzultimo posto, Zeman conclude negativamente la sua avventura in terra sarda, così come era successo un anno e 10 mesi fa sulla panchina della “sua” Roma.

Quindi Zemanlandia è arrivata alla zeta, cioè al capolinea. E saranno non pochi ad esultare, oltre ai 10 milioni di juventini sparsi in tutto lo Stivale. Anche fra i giornalisti sportivi l’antizemaniano è una specie tutt’altro che in via di estinzione. Vi proponiamo come articolo del giorno quello di Enrico Sisti su Repubblica perché è un pezzo scritto da uno che sembra appartenere a un’altra specie, quella degli zemaniani delusi.

È CAMBIATO tutto. Ormai quando arrivi alla lettera Zeman, l’orgia del contropotere, vuol dire che sei al capolinea dell’alfabeto del calcio, mentre una volta era l’esatto contrario. Il tempo passa, se ne frega. Per magia, per meriti acquisiti, per la sua congenita diversità, il boemo si porta dietro come un macigno l’aura dell’eterno innovatore, è condannato a stupire, è come se ogni volta, da ogni maledetta panchina, il suo sguardo accigliato, non importa se con Baiano, Fuser, Tommasi o Crisetig in campo, dovesse a tutti i costi anticipare un miracolo fisico e tattico. Non si può.

Che allenatore è lo Zdenek Zeman che il Cagliari ha appena, non ufficialmente, esonerato e che sembrava in un primo momento destinato a lasciare il posto a Walter Zenga, una zeta molto meno letteraria? È certamente un eroe, ma non un eroe dei nostri tempi. Ha 67 anni, le rughe sono inversamente proporzionali alle possibilità che ha il suo calcio di incidere ancora, non sporadicamente. Zemanlandia non esiste più. Pare Atlantide. Il vecchio sistema di gioco in grado di esaltarla (il difensivismo) non lo pratica più nessuno.

È tutto un po’ zemaniano, le difese sono alte per definizione, gli attacchi difendono, il pressing si comincia la notte prima, la velocità del giro palla è puro istinto, la squadra corta si è tradotta in una necessità. Nel mondo zemanizzato Zeman, il seduttore che ammalia e non vince niente, non serve più. E il paradosso è che proprio lui, uno degli inventori della modernità, poco sotto Sacchi, Ferguson e Guardiola, non sappia come opporsi alla sua creatura. Zeman è un archivio e ad un archivio tu non chiedi di allenare.

Già due anni fa, arrivato per la seconda volta alla Roma, confessò: «È la mia ultima occasione». Era stato trascinato dalla nostalgia, mai così canaglia, e dalle fortune del Pescara di Insigne, Immobile e Verratti. Andò male. Zeman è una delle parole chiave del pallone. Ma l’età non fa sconti, non si può chiedere la luna nuova a Capello o a Trapattoni, si invecchia anche stando seduti.

Contro il Pescara, per la prima volta in vita sua Zeman effettuò delle sostituzioni tattiche. Per difendere l’1-0 tolse Destro e Osvaldo, dentro Perrotta e Tachtsidis, l’intoccabile 4-3-3 fu sconvolto. Si stava adattando senza crederci. Il Cagliari asfaltato dalla Juventus qualche giorno fa era stato truccato col 4-4-2. In teoria né un bene né un male. Ma senza fiducia, tanto per fare, allora sì che diventa un male: è la prova dell’inconfessabile rassegnazione. Fra tecnico e realtà da tempo s’è prodotto uno scollamento.

Il rinnovamento del calcio deve tanto a Zeman, quel po’ di pulito che si respira nella sua aria, quell’onestà esemplare, virtù assai rara. Se però in Bundesliga, in Liga e nell’Eredivisie olandese non ci sono allenatori oltre i 60 anni, e se in Italia ne rimane soltanto uno (lo zemaniano Ventura), un motivo ci sarà. Zeman è il libro di storia che apri sempre col cuore gonfio d’emozione e di riconoscenza.

Il ricordo della Roma di fine anni Novanta, della Lazio che avrebbe meritato lo scudetto, del Foggia strabiliante, fatto di niente, semplice e complessa arte collettiva senza vedette, sono attimi infiniti. Come la leggenda dei “gradoni”, i movimenti di Cafu e Candela e la guerra alle farmacie.

Dopo i dubbi di Zenga, pare per l’esigua cifra offerta dal Cagliari, le alternative sono Gianfranco Zola, una zeta fatta in casa, e Delio Rossi. Con una piccola porta aperta anche per Edy Reja (più anziano dello stesso Zeman…). Oggi si saprà. Il boemo è partito da Cagliari ieri pomeriggio, è tornato a casa sua, a Roma. Felice proprio no. Stanco sì. Ultima sigaretta, ultima curva, ultima fermata.