ROMA – M5S impone il Durt, anzi no. Quei 21 obblighi in più per i piccoli imprenditori, chiesti dal 5 Stelle Giacomo Pisano, non sarebbero infatti in linea con “lo spirito di aiuto alle Pmi, del Movimento”.
Cosa è accaduto giovedì 25 luglio in sede di Commissione parlamentare? Un emendamento al decreto del Fare l’articolo 50 introduceva un nuovo obbligo in 21 punti per gli imprenditori, il Durt, documento unico di regolarità tributaria. Non l’hanno presa bene gli artigiani, i piccoli imprenditori, dall’edilizia ai servizi di manutenzione, ogni volta che avranno lo Stato come appaltatore, specialmente quelli di loro che confidando nel furore anti-burocrazia di Beppe Grillo, lo hanno votato: l’emendamento Durt è stato infatti presentato da Pisano in un blitz in commissione che ha ricevuto l’inaspettato e decisivo supporto di Stefano Fassina, Pd.
Successivamente però il Movimento guidato da Beppe Grillo, si dissocia dall’iniziativa di Pisano
M5S – è scritto in un post sul blog di Beppe Grillo – si dissocia dall’emendamento presentato dal suo esponente della Camera Giacomo Pisano e noto come Durt, Documento unico di regolarità tributaria, e al Senato è al lavoro per cancellarlo tramite tre emendamenti soppressivi già programmati in commissione Bilancio. L’emendamento è stato presentato a livello personale, in quanto contrario allo spirito di aiuto alle piccole e medie imprese che ha sempre animato il M5S”.
“La burocrazia pesa per il 10% sul costo d’impresa. Quattro aziende su cinque sono in ritardo sui versamenti fiscali effettuati, secondo una stima di Unimpresa, e l’81,3% delle micro, piccole e medie imprese non rispettano i termini di legge previsti per il versamento di tasse e contributi. L’Italia oggi non si può permettere di aggiungere uno strumento burocratico, informatico, atto a verificare lo stato dei versamenti fiscali”, conclude.
Cos’è il Durt? Non è un tributo, una tassa: si tratta di un obbligo, un adempimento burocratico che impone a una ditta in procinto di essere pagata per un appalto, di comunicare alla Agenzia delle Entrate entro 30 gg. tutti i versamenti delle buste paga dei dipendenti e delle liquidazioni Iva che diventano mensili. Insomma deve dimostrare in anticipo di essere in regola prima che la pubblica amministrazione stacchi l’assegno o versi il bonifico. Chi, quella stessa pubblica amministrazione che appena adesso sta cominciando a mettere in conto di pagare i suoi 100 miliardi di debiti?
“Siamo pronti a fare una nuova protesta di piazza: ora che le amministrazioni cominciano a pagare, con anni di ritardo, si inventa un nuovo ostacolo burocratico. Una norma scandalosa”: questa la reazione del presidente dell’Ance Paolo Buzzetti, che pure aveva accolto con soddisfazione la reintroduzione del 10% di anticipo da parte della P.A. Una norma che era stata abolita per evitare il “prendi i soldi e scappa” di chi beccava l’anticipo e scompariva.
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