ROMA – Che succede all’interno dei 50 senatori del Movimento 5 Stelle? Al di là degli anatemi e dei trionfalismi del leader Beppe Grillo, delle differenze stanno affiorando fra i grillini di Palazzo Madama. Andrea Malaguti su La Stampa prova a ricostruire gli schieramenti, dopo aver seguito la diretta streaming della riunione dei senatori M5S di martedì 3 settembre:
“C’ è una cosa – forse solo quella – su cui i senatori Cinque Stelle, schiavi della loro dolorosa e magnetica diretta streaming, sono definitivamente d’accordo. Che così è uno schifo. E’ un problema umano. Di relazione. Persino di rispetto. Che anticipa, amplificandolo, quello politico. Prima delle alleanze con gli altri, bisognerebbe pensare alle alleanze con se stessi. C’è qualcosa che ci lega, ragazzi? Carlo Martelli, per esempio, duro e puro della prima ora, dice che in questi giorni il collegamento whatsapp con cui i colleghi-cittadini di Palazzo Madama comunicano tra loro è diventato «la cloaca maxima degli insulti». E aggiunge che quelli che hanno scaricato nella chat le accuse peggiori si sono presentati come se nulla fosse. «Ci siamo rivisti e mi hanno detto: ehi, come stai, ti vedo abbronzato. Ma io pretendo spiegazioni». Il bizzarro mondo di internet. Davanti alla tastiera le regole banali della civiltà pesano come carta velina. Alza la voce Martelli – non è da lui – e nei suoi occhi è possibile vedere i pensieri che ruotano attorno all’abisso. «Con i giornalisti dovrebbero parlare solo i capigruppo. Lo avevamo anche votato».
Sulla tribunetta opposta, anche il pacato medico Maurizio Romani, toscano, antirenziano viscerale, considerato un trattativista, ha una cosa da dire. «È emerso un grande astio qui dentro. Anche se nessuno ha il coraggio di ammetterlo. Siamo già divisi in due gruppi. Forse tre. Ma se volete che io smetta di parlare con i giornalisti, beh, allora buttatemi fuori»”.
Malaguti li distingue in tre gruppi: i “Fedeli a Grillo e alla Rete” contrapposti a i “Fedeli alla Rete” e in mezzo i “Terzisti”.
Fedeli a Grillo e alla Rete. A guidarli c’è il capogruppo al Senato Nicola Morra, con il suo predecessore Vito Crimi. Seguono: Martelli, Puglia, Airola, Cioffi, Marton, Taverna, Bottici, Ciampolillo, Bignami, Moronese, Lezzi, Bertorotta, Serra, Santangelo, Paglini, Gaetti, Castoldi, Donno, Bulgarelli, Catalfo, Buccarella, Endrizzi, Girotto, Nugnes, Scibona, Giarrusso.
Fedeli alla Rete. Il “leader” è Luis Alberto Orellana, che proprio con Morra ha perso il ballottaggio per la nomina a capogruppo al Senato. Accanto a lui il giovane Lorenzo Battista. E poi: Bencini, Vacciano, Bocchino, Casaletto, Molinari, Campanella.
Terzisti. Blundo, Fucksia, Lucidi, Cappelletti, De Pietro, Pepe, Mangili, Simeoni, Mussini, Montevecchi, Cotti, Fattori, Cappelletti.
Scrive Malaguti:
“Esseri umani che non si amano. Idee politiche che non combaciano. Luis Orellana, che i colleghi volevano candidare alla presidenza del Senato pochi mesi fa, dopo uno sfogo contro il capo della comunicazione Claudio Messora («non ha più la mia fiducia») dice che anche questa storia dell’impossibilità di immaginare un cammino con il Pd lo ha stufato. «Sono per il dialogo. Parliamo solo di se, ma non bisogna avere tabù. Del resto in Sicilia siamo alleati con Crocetta». I colleghi Campanella e Bocchino sembrano approvare. «Chiediamo alla rete che cosa pensa». Le amazzoni del Movimento – la Taverna, la Bottici, la Bertorotta, donne decise, che difficilmente hanno la grazia di giocatrici di badminton – lo inceneriscono verbalmente. Vito Crimi e Nicola Morra sorridono enigmatici. Crack. All’improvviso il pianeta 5 Stelle più che un mondo totalitario sembra un mondo incasinato”.
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