Crisi dei giornali? I tedeschi: colpa della Borsa, meglio i privati, sono più liberi. In Italia? Guardate Rai, Mediaset, Sky

Pubblicato il 24 Maggio 2010 - 09:47| Aggiornato il 2 Giugno 2010 OLTRE 6 MESI FA

Per l’industria della carta stampata americana, ormai in ginocchio, un’importante lezione potrebbe arrivare dalla Germania. Un recente studio diffuso dall’associazione degli editori di giornali tedeschi confronta, infatti, la crisi americana del settore confrontandola con la buona tenuta del suo omologo tedesco.

Mentre la diffusione dei giornali, negli Stati Uniti, è crollata del 27 per cento tra il 1998 e il 2008, in Germania è scesa solo del 19 per cento. Merito di quel 70 per cento di cittadini tedeschi che continua a leggere i giornali, a differenza di poco più della metà degli americani. Anche per questo, mentre i guadagni della carta stampata d’oltreoceano si sono ridotti drammaticamente, quelli tedeschi hanno resistito, mantenendosi agli stessi livelli dal 2004.

Secondo la ricerca, analizzata in un articolo di Eric Pfanner sul New York Times, gli editori americani, e non solo loro, imputano le perdite alla crisi economica e allo sviluppo di Internet, senza accorgersi che il problema principale sarebbe, invece, il modello stesso del business negli States.

La maggior parte delle testate tedesche è di proprietà di singole famiglie o di piccole aziende radicate nel territorio, mentre negli Stati Uniti sono i colossi delle grandi catene editoriali a predominare sul mercato. Così, messi sotto pressione dagli azionisti interessati ai risultati a breve termine, i giornali americani hanno scelto di risparmiare sacrificando la qualità del prodotto editoriale, accelerando di conseguenza la fuga verso il Web di lettori e inserzionisti.

Una strategia opposta a quella degli editori tedeschi, che hanno preferito mantenere offline gran parte dei contenuti delle loro testate.

L’unico punto in comune tra l’industria americana e quella tedesca sarebbe la centralità dei giornali locali, vero e proprio zoccolo duro del mercato della carta stampata in entrambi i Paesi. Non ci sarebbero però altre analogie, ragion per cui il timore di una crisi simile a quella americana in Germania sarebbe, secondo gli editori tedeschi, «infondato».

Non ne è convinto Ofanner, il quale invece ritiene possa essere semplicemente questione di tempo prima che l’ombra del fallimento si proietti anche sulle testate tedesche. «I tedeschi sono stati più lenti degli americani nell’affidarsi a internet anche per altri servizi, non solo per l’informazione. L’e-commerce, per esempio, ha fatto fatica a decollare per i timori connessi all’utilizzo dei dati personali e delle carte di credito» riflette Pfanner.

Gli editori tedeschi, infatti, avrebbero appena cominciato a puntare sui media digitali, cosa che gli americani fanno, invece, già da anni. L’unico grande vantaggio che avrebbero, secondo il Nyt, sarebbe la loro solida organizzazione: «Gli editori hanno fanno pressioni al governo di Angela Merkel perché studiasse una legge per creare un nuovo tipo di copyright per i contenuti online. Inoltre, si sono lamentati con le autorità antitrust del predominio di Google tra i motori di ricerca».

Non si sa se queste mosse li aiuteranno a sviluppare il business nel futuro o semplicemente a mantenere l’attuale posizione sul mercato. Certo è che, almeno per ora, gli editori tedeschi sembrano confidare nello statu quo, un lusso che i loro colleghi americani certo non si possono permettere.

Un limite della ricerca degli editori tedeschi e della analisi di Pfanner è che tutti guardano a internet e nessuno tiene conto dell’impatto, sulle letture e sulla pubblicità della immensa offerta televisiva. Nell’ultimo quarto di secolo, col cavo, la tv americana è passata da tre e poi quattro network nazionali via etere a centinaia, moltiplicando la copertura di interessi anche di nicchia e la disponibilità di spazio per gli spot pubblicitari. Qunado è arrivato internet, ha dato un colpo forse esiziale alle entrate pubblicitarie dei giornali, offrendo agli utenti un mezzo più rapido e pochissimo o punto costoso per la piccola pubblicità personale.

Per quanto negli ultimi anni anche in Germania la tv satellitare, alternativa europea al cavo, si sia diffusa molto, essa ha comunque operato in un quadro di norme molto più restrittive e questo spiega, forse non in modo esaustivo ma di certo singificativo, la maggiore tenuta della stampa tedesca, riviste in testa, rispetto ad esempio all’Italia.

L’Italia nel rapporto tra stampa e tv porta la bandiera nera del mondo, a causa del peso eccessivo da un quarto di secolo ormai assunto dal duopolio Rai – Mediaset, che ha portato nel nostro paese un’offerta di spazi televisivi per la pubblicità superiore a quella dell’intero continente. Contro questa situazione gli editori sono battuti invano per anni, da soli, avendo come avversario il fronte unito colluso e coalizzato di Berlusconi e di tutti i partiti, sui quali non solo esercitava probabilmente una influenza più o meno trasparente, ma con i quali si trovava in oggettiva confluenza di interessi.

Infatti a tutti ma proprio tutti i partiti interessava una Rai gonfia di denaro per poter piazzare, secondo pesi proporzionali ai voti di ciascuno, i propri portaborse, attaché, leccatori. Così ogni tentativo di imbrigliare la dirompente offerta di pubblicità tv è miseramente naufragato, complici anche i commerci sottobanco tra Massimo D’Alema e Berlusconi, quando D’Alema presiedeva la famigerata e infausta commissione bicamerale e al ministero allora delle Poste i suoi uomini, come Penelope, di giorno scrivevano con gli editori norme anti tv e di notte le riscrivevano con gli uomini di Berlusconi.

A questa sciagura si è poi aggiunto l’arrivo di Skay, che ha rastrellato dal mercato una pubblicità in fatturato pari a quello di Repubblica o del Corriere della Sera, gettando la pubblicità nazionale dei quotidiani nello sprofondo di una crisi ancor più grave della già grave recessione.