24 maggio un secolo dopo, dal Piave al coronavirus un grande popolo, ma la classe dirigente non lo è

24 maggio 1915, il Piave mormorava calmo e placido al passaggio dei primi fanti…Finì, 3 anni e mezzo dopo e dopo 600 mila morti. Fu una grande prova di popolo, non  cercata, non voluta. Molti di quei ragazzi manco parlavano italiano. Nemmeno si chiamavano per nome proprio, ma con quello della città di origine,

Eppure proprio sul Piave, 2 anni dopo, nel 1917, quella massa proletaria e piccolo borghese, di contadini, operai, artigiani e piccoli professionisti, compì il miracolo.

La classe dirigente li aveva incolpati della rotta di Caporetto. Erwin Rommel, futura volpe del deserto, autore dello sfondamento preludio alla rotta, elogia in un suo libro la qualità dei nostri soldati. Sarà così anche nel 1945, in Africa. Rommel aveva tagliato la corda, Montgomery stravinceva. Gli inglesi riconobbero che i soldati italiani erano ottimi soldati, guidati da mediocri ufficiali.

Quegli eroi sconosciuti, ebbero qualche medaglia di bronzo e misere pensioni. C’era anche mio padre. Ferito da uno shrapnel sul Carso, lui, portaferito, riservò per sé l’ultima dose di medicazione. Non amava la guerra, non amava le armi. Non volle fare l’ufficiale. La manualità del barbiere lo rese atto a raccogliere e praticare le prime cure durante gli assalti che il film Uomini no ha reso con dolorosa plasticità.

Conservo sull’altarino dei miei defunti il quadretto con la medaglia di bronzo. Gliela diedero anni dopo e dovette accontentarsi. Il suo battaglione, mentre lui era in ospedale, si era ribellato e per punizione era stato sottoposto alla decimazione, come duemila anni fa facevano i romani. Tutti i soldati in fila, uno ogni deci, fosse chi fosse, veniva fucilato.

Uno dei principali, se non il principale, responsabili di Caporetto, Pietro Badoglio, sarebbe diventato duca e maresciallo d’Italia. Un paese, in Piemonte, dove lui nacque, porta ancora il suo nome, Grazzano Badoglio.

24 maggio 2020,oltre un secolo dopo, siamo tutti ostaggio del coronavirus. Con più  di 30 mila morti da piangere. Non il fiore della gioventù e della classe dirigente, ma anziani e vecchi nella fase calante della parabola della vita.

La mancanza di memoria e di prospettiva storica, dopo 75 anni di pace, hanno indotto qualcuno a dire che siamo in guerra.

La guerra di un secolo fa fu una guerra sanguinosa e inutile. Al posto del folcloristico Trump, presidente degli Usa era il professore universitario Woodrow Wilson. Ma al di là delle diverse origini e formazione, i due sono uniti dall’arroganza e dalla convinzione dell’infallibilità.

Wilson convinse e costrinse gli alleati inglesi e francesi di negare all’Italia quanto promesso per farla scendere in guerra. Dalla vittoria mutilata germogliò il fascismo con quel che ne venne di male per l’Italia di allora e anche per quella di oggi.

Ma il sentimento degli italiani era questo. Delusione. Una generazione si dissanguò nelle trincee del Carso per  pochi chilometri quadrati di terra. Abitati da gente che non si sentiva e non si sente italiana, ci odia, quando ha potuto ha praticato il terrorismo, ancora oggi rinnega l’Italia.

Anche gli inglesi videro sterminata la loro futura classe dirigente nelle cariche di cavalleria nelle pianure delle Fiandre agli inizi della guerra.

Purtroppo ci volle un’altra guerra, un’altra generazione decimata, questa volta nel deserto della Libia e nelle steppe e nella neve dell’Ucraina, perché gli italiani si convincessero dell’inutilità delle guerre. Speriamo che duri.

Ma le costanti della storia non si vaporizzano. E per uno degli scherzi della storia, il nemico di 105 anni fa è il nemico di oggi, l’Austria. L’alleato di ieri (la Germania cui dobbiamo l’unità nel 1870 e il benessere, anche oggi), diventato nemico (nel 1915 e nel 1943) ci usa, ci apprezza ma non ci stima.

Il loro simbolo è Erich von Stroheim, il nostro è Alberto Sordi. Due volte traditori, non siamo gente di cui fidarsi. Senza le nostre fabbriche e botteghe artigiane metà della loro grande industria sarebbe ferma.

L’impero romano portò la civiltà in Germania. Ma la Germania era un grande hub industriale e commerciale secoli prima che etruschi, sabini e latini fondassero Roma. E Roma non riuscì poi mai a sottomettere l’intero territorio. Ma al tempo stesso, là si trovava e si trova il mercato sbocco finale dei beni dell’Oriente e del mediterraneo.

E da là sono partiti i guerrieri che sottomisero l’Europa e che per un millennio e mezzo hanno costituito l’aristocrazia che ha dominato Portogallo e Spagna (visigoti), Francia (franchi), Italia (longobardi…in transito), Inghilterra (vikinghi via Normandia, poi anche tedeschi) e Russia (vichinghi).

E da là sono partite le spedizioni punitive che misero in ginocchio l’Italia. Ricordiamo Federico barbarossa e Carlo V Asburgo. A Vienna, come in ogni colonia, riferì per quasi mezzo millennio la classe dirigente lombarda. A Vienna fece le sue prime esperienze politiche uno del padri dell’Italia repubblicana, Alcide De Gasperi.

Passato, presente e futuro si intrecciano idealmente in questa data del 24 maggio. Ho scritto queste righe per ricordare, a me e a quei pochi che mi leggono (grazie a Google e Facebook sono molti di più dei 25 di Manzoni), che bisogna cercare di vedere i fatti di oggi nella prospettiva di quelli di ieri.

Dopo il Coronavirus, molte cose cambieranno. Non come prevedono certi profeti. Ogni tanto rileggo libri di 40-50 anni fa, che disegnavano catastrofi e fine del mondo. Come al Totocalcio, pochi pronostici vengono azzeccati. Quanto fiato sprecato, che esubero di parole senza senso.

Le cose cambieranno, non secondo giornalisti, professori e futurologi. Ma in base agli errori, più o meno gravi, che la classe dirigente commetterà nelle prossime ore, giorni mesi.

Pochi ci pensano, oggi siamo perché la classe dirigente del 24 maggio di un secolo fa non fu all’altezza del compito. Orlando e Sonnino perché non ressero il confronto a Versailles nel 1919. Giovanni Giolitti perché pensava che Mussolini, fermata la marea rossa, tornasse a fare il giornalista o meglio ancora il maestro elementare. Re Vittorio Emanuele II perché temeva che il cugino Aosta gli facesse le scarpe.

Montgomery trionfò in Libia non per genio militare ma per superiorità di risorse, uno a cinque. I rifornimenti finivano in fondo al Mediterraneo. L’errore originale non era tattico contingente. Fu che Mussolini prima e i vertici militari poi non vollero attaccare Malta, da dove poi sarebbero partiti i micidiali attacchi ai convogli.

Come sul Piave, anche nella presunta guerra al coronavirus gli italiani, la gente comune, ha dimostrato quella capacità di resistenza che ha maturato in quindici secoli di sottomissione politica. Quel “volgo disperso” ancora una volta ha dimostrato di essere meglio di chi lo guida.

Ora c’è grande polemica contro le movide. Sono i giovani, vogliono uscire, camminare, bere, chiacchierare, perdere tempo. Abbiamo visto che i più guariscono dal coronavirus come guariscono da una influenza o anche polmonite.

Pensate come vivevano un secolo fa, i nonni di quei giovani. E fatevene una ragione.

I vecchi, quelli che possono farlo i sono sopravvissuti alla strage delle case di riposo, pensino da sé al proprio isolamento. E tengano alla larga figli, nipoti  nipotini.

Facile prendersela con Fontana. Lombroso non avrebbe voluto di meglio.

Ma se la sanità è ridotta così non è colpa del privato. Il sogno di Orlando è il modello sovietico. Tutti in fila pazienti. Poi, se per il nipote di Bernardo Valli il tampone non c’è, a Lucia Annunziata ne fanno tre, con ricovero allo Spallanzani.

La sanità pubblica è ridotta così perché invece di tagliare gli sprechi, dove prosperano ladri di tutte le fedi e cosche, con tagli mirati, hanno tagliato posti letto e personale, hanno depresso le retribuzioni. 

Ora io temo che passata l’emozione tutto non sarà più come prima. Sarà peggio.

Comanderanno tecnici e demagogia. Una bomba a orologeria.

 

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