Anis Amri, un selfie chiude la inerte polemica sui nomi dei poliziotti

di Sergio Carli
Pubblicato il 26 Dicembre 2016 - 09:42 OLTRE 6 MESI FA
Anis Amri, un selfie chiude la inerte polemica sui nomi dei poliziotti

Il selfie di Christian Movio, il poliziotto ferito da Anis Amri, il terrorista di Berlino, chiude la inerte polemica sui nomi dei poliziotti

Un selfie con un gruppo di amici di Christian Movio, il poliziotto ferito da Anis Amri, il terrorista di Berlino chiude la polemica sul fatto che il ministro dell’Interno Marco Minniti ha reso pubblici i nomi dei due agenti della pattuglia.

La foto è stata scattata nella stanza di ospedale San Gerardo di Monza, dove Movio, ferito a una spalla dal terrorista poi ucciso dall’altro poliziotto, Luca Scatà, era ricoverato.

L’idea che si potesse tenere sotto traccia l’identità dei protagonisti di un episodio tanto rilevante è semplicemente assurda. Che ci sia stata una intensa adesione da parte di più o meno anonimi frequentatori di social network dà solo la misura del tanto tempo che la gente ha da perdere.
Rilasciato dall’ospedale, Movio si è recato a Povoletto (Udine) dove risiede la famiglia.
La polemica è stata innescata da politici di destra in un malinteso senso di tutela delle forze dell’ordine. Si trattava di una pretesa un po’ assurda, data la situazione eccezionale e il rilievo mondiale dell’evento. Forse era un buon pretesto per attaccare il nuovo ministro ma aveva poco senso. Come poco senso ha tutto l’incenso bruciato sull’altare del mito degli eroi. Come ha detto a Repubblica il questore di Milano, Antonio De Iesu, “non sono eroi ma ottimi poliziotti”.

De Iesu, con un controllo di nervi e di situazione straordinario e indice di altissimo professionismo, si è affrettato invece, con una mossa da vero leader, a fare pulizia dei profili social dei due poliziotti, cogliendo l’occasione per eliminare immagini che avrebbero complicato non poco la gestione internazionale e nazionale dell’immagine della Polizia.  Per carità, ognuno è libero delle sue opinioni e anche di manifestarle (art.21 della Costituzione), ma…c’è momento e momento. E questo non è proprio il momento. La motivazione del provvedimento è da manuale:

“Sono ragazzi giovani vivono un momento di grande trasformazione. Abbiamo detto loro che è il momento di essere meno presenti sul web, ma non per comprimere il loro diritto a farlo. Il fatto è che immagini e messaggi sui social hanno enorme diffusione ed evidenza e in questo momento è meglio essere cauti e tenere un basso profilo”.

Tradotto: sono ragazzi, improvvisamente proiettati su una ribalta mondiale, meglio mettere un po’ di foto di tricolore e in uniforme, e anche foto del ferito nel letto di ospedale, al posto del saluto romano, in abito trasandato, accanto al mascellone di Mussolini e al rifiuto del 25 aprile firmato da Junio Valerio Borghese.

Resta un interrogativo. Come avrebbero reagito i benpensanti se al posto del terrorista di Berlino Anis Amri ci fosse stato un ladruncolo napoletano o di altra specie protetta? La storia italiana recente non è povera di casi in cui poliziotti e carabinieri si sono trovati esposti, senza copertura dai superiori, alle conseguenze giudiziarie che li hanno visti catapultati da mancate vittime ad assassini. Questa volta, almeno finora, gli è andata bene. Anche grazie ai loro capi: non reticenti, precisi, puntuali e accorti. Non sembra quasi di essere in Italia…