28 ottobre, data della Marcia su Roma di Mussolini, 99 anni fa. Per nostra fortuna siamo nel 2021 e non nel 1922.
I fascisti non randellano né uccidono nelle strade né somministrano micidiali sorsate di olio di ricino. Oggi, violano il santuario della Cgil, fanno il saluto romano, ma, come insegna Trieste, basta un idrante e si squagliano. Il problema, come sempre è nel manico, ma il manico oggi è in mano a gente nell’insieme perbene. Non devono difendere trono o dinastia.
La lezione del 28 ottobre, che forse nemmeno più i fascisti della Meloni celebrano, è che se lo Stato è debole, l’Italia è in ginocchio. Lo Stato non fu in grado di fermare le follie socialiste, affidò ai fascisti il lavoro sporco, alla fine fu travolto. Lo Stato non può essere buonista e nemmeno buono. L’indulgenza si paga.
28 ottobre, gli eredi dei socialisti di allora non assaltano i reduci. Si preoccupano di far fare carriera alle donne con le quote rosa e dei trans.
I sindacati non occupano le fabbriche e non fanno scioperi generali. Li minacciano, come quello al bar che dice: tenetemi se no lo pesto.
E guardano con gli occhi sgranati esterrefatti, il primo ministro Mario Draghi che si alza e se ne va, mollandoli lì al tavolo. Ne sono passati di anni, quasi 50, da quando l’annuncio di uno sciopero generale bastò per indurre un predecessore di Draghi, Mariano Rumor, a dimettersi.
Oggi mi inferocisco quando cammino tranquillo su un marciapiede di Roma e mi sento sfrecciare da un lato un monopattino con due ragazzi a bordo. E incrocio, sullo stesso marciapiede, una bici con mamma e bambino che pedala in senso opposto.
Sei assolutamente povero se spendi meno di 942 euro al mese
E L’Istat sentenzia che una coppia di over 60 a Milano è assolutamente povera se spende in consumi in un mese meno di 942 euro. Non sono riuscito a capire cosa ci sia nella lista della spesa dell’Istat. Dice solo che un italiano su 10 è in quelle condizioni.
Ma un secolo fa, e anche mezzo secolo fa se è per questo, eravamo 7 su dieci in povertà assoluta, la fame era fame, i servizi igienici erano in comune sul pianerottolo, i cappotti si rivoltavano tre volte. Oggi, con buona pace dell’Istat, non risulta che si muoia di fame, tutti hanno almeno un telefonino, anche i barboni per strada. E il cappotto lo butti e ne compri uno in saldo da H&M o a Porta Portese.
Anche solo 50 anni fa la vita era ben diversa
Erano gli anni di piombo. Se uscivi di casa, dovevi badare agli agguati delle Br. L’aria era satura di elettricità politica e dell’odore mefitico degli scarichi delle auto. Anche la voce della addetta al radio taxi di Milano trasmetteva odio.
Merito delle generazioni che ci hanno preceduto e dei loro sacrifici. Certo, se in Italia c’è chi vota Beppe Grillo e la Meloni, vuol dire che abbiamo imparato poco.
Ma per fortuna siamo nel mercato comune europeo, siamo in un continente senza dazi. (Quando ero bambino il dazio si pagava anche sulle uova e il burro che entravano in città, retaggio medievale a metà del ventesimo secolo. Se ne accorgeranno gli inglesi con la loro Brexit).
Un Paese di Serie B che è anche un miracolo, lontano da quel 28 ottobre
Da un lato siamo sempre un Paese di serie B, così ci considerano i grandi del mondo. Dall’altro siamo un miracolo, se pensiamo che quando Giuseppe Verdi esordì alla Scala, Milano era colonia dell’Austria, Venezia e Trieste erano lo sbocco al mare di Francesco Giuseppe e di Sissi. Siamo uno Stato da 150 anni, il Kenya da 60, Francia e Inghilterra da 700.
Ai tempi di Mussolini e della sua fasulla Marcia su Roma, l’Europa aveva appena lasciato sui campi di battaglia dal Mare del Nord ai Dardanelli, 16 milioni di morti e 20 milioni tra feriti e mutilati. Con l’aggiunta di qualche milione perso per l’influenza spagnola.
I morti per covid in Europa si aggirano sul mezzo milione: progresso, educazione, medicine.
Nella storia, una imposizione fiscale sopra il 10% provocava sanguinose rivolte. Oggi superiamo il 50% e continuiamo a divertirci, viaggiare, mangiare: nemmeno il coronavirus ci ha fermato, ora siamo in pieno boom di turismo e di consumi. Speriamo che duri, è la nostra sola speranza.