Fine dei giornali: notizie scelte da algoritmo pagate a clic

di Sergio Carli
Pubblicato il 17 Dicembre 2015 - 11:56| Aggiornato il 18 Dicembre 2015 OLTRE 6 MESI FA
Algoritmo sceglie notizie pagate a clic e il giornale morirà

Giuseppe Giulietti fotografato da Roberto Monaldo di LaPresse è il nuovo presidente del sindacato dei giornalisti, un mestiere che rischia l’estinzione

ROMA – Mentre gli editori chiedono un po’ di elemosina da Google e vogliono far pagare notizie che sono di dominio pubblico reperibili gratuitamente nel web, mentre la parte dei giornalisti più sensibili alla giustizia sociale protestano per i pochi compensi dei loro colleghi precari, una minaccia incombe da internet sui giornali in Italia: il citizen journalism, anzi il crowdsourcing journalism, formule nobili e entusiasmanti che nascondono l’ultima frontiera del lavoro a ultra cottimo, ultra precario.

Costituisce anche la consacrazione della inutilità dei giornalisti, ancor più del loro Ordine professionale, sancisce che sindacato dei giornalisti e associazione degli editori sono relitti dal passato. Rappresenta un pericoloso punto di domanda sulla necessità per un giornale, almeno per un giornale online, di essere iscritto all’apposito Registro: perché Blitz sì e un sito di Citizen Journalism no? Chi lo decide? Cosa cambia nei doveri?

Citizen journalismcrowdsourcing journalism sono talmente oltre i confini del sapere sindacale e lavoristico consolidato da non essere definibile in termini noti e sfuggire a qualsiasi inquadramento è controllo. Chiedere i contributi sugli articoli del novantenne Eugenio Scalfari è quasi un riflesso condizionato, estendere il prelievo alle migliaia di collaboratori che fanno diventare sempre più forti e ricchi siti come Blasting News è un po’ più complesso.

Ci sono diversi siti in questa lega, come Fanpage e Citynews ma il più innovativo di tutti è Blastingnews, sede a Chiasso, in Svizzera, presente in 34 Paesi, più di 3 mila notizie in una settimana, una “rosa” di 495,106  blaster in tutto il mondo.

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Questa formula è il sogno di ogni editore. Basta con i redattori che costano da 25 a 50 mila euro anno almeno. Basta con i compensi minimi, qui siamo ai compensi massimi, fino a 150 euro. Un normale editore però non lo può fare perché la legge italiana e il contratto dei giornalisti lo vietano, ma queste nuove forme di giornalismo dei cittadini e della folla possono farlo. Sottraggono lettori agli editori che rispettano le leggi, piccoli o grandi che siano, assorbono quote importanti di pubblicità. La Federazione degli editori dei giornali sta a guardare, la Federazione della Stampa, il sindacato dei giornalisti, sta  guardare, l’Ordine dei giornalisti appare in difficoltà fuori del recinto dei precari iscritti. Sperano nei soldi di Google e in quelli che Matteo Renzi e Luca Lotti nemmeno promettono e meno che mai daranno.

Intanto Blastingnews dice:

“Non avete bisogno di una licenza o di una targa d’oro, non avete bisogno di “entrare nel circolo del giornalismo”.

Però “non accetta compromessi sulla qualità” e chiede “notizie a valore aggiunto”.

Sembra di vivere in mezzo a due mondi, quello dei giornali come noi pensiamo debbano essere, pieni di difetti ma frutto di uno sforzo professionale collettivo e quello del giornalismo del futuro, dove le notizie sono controllate da un algoritmo, dove è l’algoritmo che decide se la qualità degli articoli rispetta gli standard ed è l’algoritmo che approva l’articolo e ne decide la pubblicazione.

E allora perché il Corriere della Sera non può fare lo stesso, licenziare tutti i suoi redattori e affidare a un algoritmo la scelta dei suoi articoli, scritti da collaboratori che non sono pagati in base a quanto prodotto, riga, articolo, fisso mensile, ma in base alla lettura, in base ai clic.

Nel fare questo il Corriere della Sera potrebbe cancellarsi dal Registro dei giornali, cancellare la sua posizione Inpgi. Se non lo può fare, perché Blasting News lo può? Quanti contributi pagano all’Inpgi Blasting News, Fan Page, Today e tutti gli altri siti che si basano sul cottimo del citizen journalism? Sembra che proprio non siano nemmeno nel radar dell’Istituto, che invece vuole tagliare le pensioni agli iscritti perché mancano i soldi. Perché non va a prenderli su questo genere di giornali?

Perché l’Ordine, molto attento ai compensi dei collaboratori dei giornali tradizionali, molto coraggioso nell’allargare i recinti della professione anche contro la volontà degli editori, non si esprime sul contenuto professionale di queste forme di nuovo precariato o, come si diceva, di abusivato? Qui non si parla di libera manifestazione del pensiero, qui si parla di libera manifestazione del pensiero a pagamento. La legge dell’Ordine inquadra tutto questo e il passaggio alla contribuzione dovrebbe essere coefrente.

Se gli editori spostano il focus dal soggetto al clic, gli enti preposti spostino anch’essi il focus: non si pagano più i contributi su uno stipendio o un compenso occasionale, si pagano su un clic. Se non si farà così, i proventi dalla stampa iscritta a Registro scenderanno sempre, in una spirale da paura.

Se questa affermazione è sbagliata, sarà una gioia prenderne atto, perché vorrà dire che sono ormai incubi del passato i problemi finanziari dell’Istituto di previdenza dei giornalisti italiani, Inpgi, che provvede alle nostre pensioni di giornalisti. A quel che si dice nell’ambiente, purtroppo, non è così. Si dice anzi che gli ispettori di un istituto previdenziale si sono presentati nella sede di uno di questi siti e si sono dovuti ritirare senza colpo ferire di fronte alla novità di queste forme di lavoro nero.

Non tocca agli ispettori fare le leggi ma solo farle applicare. Tocca però a chi presiede gli istituti elaborare nuove norme, al Sindacato e all’Ordine dei giornalisti sollecitarle. Non serve riferirsi agli editori, talmente sopraffatti dai loro drammi e paralizzati dai loro conflitti di interesse da non avere la mente lucida per affrontare questa partita.

Fanno male, perché i più minacciati sono proprio i grandi giornali, oppressi da una struttura di costi compatibile con livelli di ricavi che sono ormai preistoria. Cosa potranno mai fare Repubblica, Corriere della Sera o tutti gli altri giornali storici, il cui costo medio a giornalista non è inferiore a 50 mila euro anno, con organici definiti da una organizzazione del lavoro bizantina, contro siti che non hanno organico e calcolano il costo del lavoro non a testa ma a clic? Le notizie sono più o meno le stesse, quelli disposti a pagare soldi veri per un articolo di una grande firma si contano in poche migliaia, quanto potranno reggere i giornali cui tanto siamo legati non solo per sentimento ma perché la loro esistenza è condizione necessaria anche se non sufficiente di democrazia?

Gli altri attori, Inpgi, Fnsi, Ordine, però, non possono assistere passivi, devono uscire dal perimetro professionale del passato. Se si impegnano solo sul fronte definito dalla carta e, per internet, dal registro delle imprese editoriali, sono condannati a un avvitamento esiziale.