Bavaglio, il Senato lo confeziona, la Corte Costituzionale rinuncia a decidere

Bavaglio, il grande ritorno. Eliminare il carcere per i reti di opinione? Certo, ma con pene ancora peggiori. Il Senato marcia implacabile.
Dopo il pilatesco rinvio della Corte Costituzionale, che ha dato via libera alla repressione della libera informazione. Grande geniale invenzione “il rispetto della leale collaborazione istituzionale” con il Parlamento.
 
Lo avevano inventato negli anni ’90 per dare respiro a Rai e Berlusconi  che dovevano trasferire sul satellite Rai 3 e Rete 4. Come tutti sappiamo, non avvenne mai.
 
Alla Corte, risulta dalla Costituente e dalla Costituzione, compete stabilire se una norma rispetta lettera e spirito della Carta fondamentale della Repubblica. Non di passare la palla al Parlamento.
 
Il Senato, presso cui sono in esame vari disegni di legge per sostituire il carcere con pene alternative, ha preso la palla al balzo. E ha deciso di procedere con l’esame e il voto finale, ancorché referente, del ddl 812, presentato da Caliendo (FIBP-UDC).
 
Il sindacato cronisti romani implora:
 
“Sarebbe opportuno rivedere e ricalibrare equamente le sanzioni pecuniarie sostitutive del carcere in materia di diffamazione”.
 
Nel silenzio generale di giornali e editori, tutti girati dall’altra parte. O al messimo covinti che con una classe politica come l’attuale, si possa giocare di fioretto e non di mitraglia.
 
Tutti i politici, per la loro natura, odiano i giornali. Li vogliono manipolare, usare ma li detestano. E disprezzano i giornalisti.
Questa è una storia che si trascina da 10 anni. L’Italia è uno dei pochi Paesi al mondo, con Russia e Filippine e qualche Stato africano (in Cina sono più diretti, i giornalisti li fanno sparire) a prevedre il carcere per i reati di opinione. Da noi il trattamento legale della diffamazione è forse il peggiore del mondo.
 
Il reato di opinione è punito due volte: dal codice penale e dal codice civile.
 
Il bavaglio non fu una invenzione di Berlusconi, nacque con un santo della sinistra, Romano Prodi Berlusconi raccolse il testimone. Ma fin dal 2007 i politici italiani erano tutti compatti. Sulle intercettazioni votarono quasi tutti. Il 17 aprile del 2007, quando la Camera dei Deputati approvò il testo del ddl Mastella che si occupava proprio di intercettazioni, parlavano di “difesa della privacy”.
 
All’epoca al governo c’era il centrosinistra e il provvedimento, proposto dall’allora ministro della Giustizia Mastella, fu approvato quasi all’unanimità. Solo nove deputati si astennero: i Ds Giulietti, Grillini e Nicchi, il rifondatore comunista Cannavò, i Dl Zaccaria e Carra, i Verdi De Zulueta e Poletti, l’ex Ds Caldarola.
 
Ora, da buoni cronisti, i cronisti romani presieduti da Pierluigi  Roesler Franz, hanno chiesto ai senatori
 
“un congruo rinvio dell’approvazione in Commissione Giustizia in sede referente del disegno di legge Caliendo n. 812”.
 
A futura memoria, ecco chi sono i componenti la Commissione Giustizia del Senato.

Presidente Andrea OSTELLARI (L-SP-PSd’Az)

Vicepresidenti Mattia CRUCIOLI (M5S), Alberto BALBONI (FdI)

 Segretari Alessandra RICCARDI (M5S), Valeria VALENTE (PD)

 Componenti Luca CIRIANI (FdI), Veronica CIRINNA’ (PD), Gianmarco CORBETTA (M5S), Giuseppe Luigi Salvatore CUCCA (IV-PSI), Franco DAL MAS (FIBP-UDC), Grazia D’ANGELO (M5S), Elvira Lucia EVANGELISTA (M5S), Niccolò GHEDINI (FIBP-UDC), Mario Michele GIARRUSSO (Misto), Pietro GRASSO (Misto, Liberi e Uguali), Franco MIRABELLI (PD), Fiammetta MODENA (FIBP-UDC), Emanuele PELLEGRINI (L-SP-PSd’Az), Angela Anna Bruna PIARULLI (M5S), Simone PILLON (L-SP-PSd’Az), Erika STEFANI (L-SP-PSd’Az), Julia UNTERBERGER (Aut (SVP-PATT, UV), Francesco URRARO (L-SP-PSd’Az).

Nemmeno un di loro risulta essersi alzato a parlare contro un disegno di legge che ricalca quelli del passato. O contro emendamenti che addirittura aggravano la situazione, allungando ad esempio la prescrizione.

La lettera implorazione dei cronisti romani è straziante, commovente e probabilmente inutile. Anche l’altolà del sindacato nazionale, la Fnsi, è caduto nel vuoto. Anzi adesso alla Cemera voglio anche impedire ai giornalisti di uscire dalla sala stampa. Off limits, come i vicoli delle città europee occupate perché i soldati americani non finissero intrappolati in qualche casa chiusa.

“Riteniamo assolutamente opportuna una pausa di riflessione per rimeditare a fondo tutte le questioni più controverse e quelle ancora aperte in tema di riforma della diffamazione affinché venga esaminato ogni aspetto di questa delicata questione. Essa investe la libertà di stampa, il diritto di cronaca, nonché la libera e corretta informazione.

“A sua volta garanzia fondamentale di democrazia, e sanare così in modo equilibrato un vulnus che nel nostro Paese dura ingiustificatamente da troppo tempo. E su cui il Parlamento da decenni non è riuscito a legiferare (esattamente un anno fa, il 18 giugno 2019, lo stesso premier Giuseppe Conte si era impegnato a Napoli ad affrontare seriamente l’argomento), nonostante pubblici appelli e progetti di legge presentati da FNSI, CNOG, Ossigeno per l’Informazione, Articolo 21 e persino dalla FIEG.

“In particolare dovranno essere attentamente calibrate le misure alternative alla detenzione perché altrimenti i giornalisti cadrebbero “dalla padella nella brace” e la nuova normativa, attesa da svariati decenni, finirebbe per risultare addirittura peggiorativa rispetto a quella attuale che prevede ancora il carcere.

“Infatti nella nostra categoria sono già molti i cronisti e i direttori che preferirebbero paradossalmente tenersi ben stretta la normativa attuale che prevede il carcere proprio perché non potrebbero far fronte, come numerosi editori, al pagamento congiunto delle pesanti sanzioni alla Cassa delle Ammende e dell’indennizzo in favore delle persone diffamate, tenendo conto:

1) che molti cronisti anche non più giovani vengono oggi retribuiti come free lance con appena 2/3 euro ad articolo;

2) che i giornalisti a differenza di altri professionisti (come, ad esempio, i medici) non hanno alcuna possibilità di assicurarsi preventivamente presso una qualunque compagnia italiana od estera contro i risarcimenti da diffamazione;

3) che il mondo dell’editoria sta attraversando la più grave crisi della sua storia, iniziata una decina d’anni fa ed aggravata, purtroppo, dall’emergenza Covid-19″.

 
 
 
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