Ciclisti, la lobby in azione, i pedoni tremano anche sui marciapiedi

Ciclisti, la lobby in azione, i pedoni tremano anche sui marciapiedi
Ignazio Marino va in bicicletta ma con la scorta dei vigili

“Il ciclista nel mirino” è il titolo di un editoriale dell’Eco di Bergamo, equilibrato ma fermo, come equilibrati nell’insieme sono i numerosi commenti postati. Autore Giorgio Gandola:

«Salviamo i ciclisti dagli agguati del traffico». È questo lo scopo della riforma del codice della strada che sta partendo in Parlamento . Nobile intento, anche se sarebbe altrettanto utile salvare il traffico dagli agguati di qualche ciclista psichedelico. Ma questa è un’eventuale altra puntata.

L’iter della riforma, che prende spunto da un documento dell’Anci (associazione dei Comuni italiani), parte da un punto fermo: nel centro delle città è necessario abbassare il limite di velocità per le automobili a 30 km all’ora». Per inquinare meno? Per fare meno rumore nel caso non infrequente che al posto dell’asfalto ci sia il porfido? No, come recita il disegno di legge «per consentire la circolazione a doppio senso delle biciclette nelle strade a senso unico».

Sì, avete capito bene: i ciclisti potrebbero utilizzare le strade a senso unico per circolare contromano. Allegramente, fischiettando, magari parlando al telefonino o con il cane al guinzaglio (parola di testimone). Vorremmo sommessamente obiettare che se lo scopo è quello di salvaguardare chi usa le due ruote, questa non ci sembra una grande idea. Consentire ai ciclisti di procedere contromano significa renderli un obiettivo sensibile per gli automobilisti spericolati e raddoppiare il rischio di incidenti. Più che risolvere un problema se ne moltiplicherebbero gli effetti negativi. Se la riforma prosegue su questa linea speriamo (per la prima volta) che le sabbie mobili del Parlamento facciano il loro dovere.

Speriamo davvero. I ciclisti hanno una quinta colonna al ministero dei Trasporti. Un funzionario senza nome ma molto potente, che l’ha fatta in barba all’allora ministro Corrado Passera, emettendo una ambigua circolare in cui si prospettava, con molti se e molti ma, la possibilità di consentire ai ciclisti di andare contro mano nelle strade dei centri urbani. Era solo una possibilità che subito è stata trasformata in aperta concessione, senza che nessuno potesse farci più nulla.

Né il ministro ignaro né i vigili urbani, che si guardano bene dal fermare i ciclisti fuori legge: senza targa chi li può identificare? Con le mani non li si possono arrestare: o ti spezzi le braccia o gli fai del male e i vigili sono rovinati da cause e processi.

Così, incuranti  strafottenti, i ciclisti sfrecciano nelle strade delle nostre città, per quanto piccole siano, alla faccia del limite di minimo di 4,5 metri. Spesso portano un bambino, a volte due. Parlano al telefono, viaggiano al centro della strada. E anche sui marciapiedi, piombando silenziosi e mortali sui pedoni come missili stealth.

Chi propone di regolamentarli un po’, imponendo la targa e l’assicurazione anche ai ciclisti è sommerso di insulti, come è successo al nostro Sergio Carli: i ciclisti sono un gruppo vocifero e prepotente e internet aumenta la naturale propensione alla aggressività, come capita a chi, dopo avere rischiato di finire a terra travolto da un ciclista mentre camminava tranquillo sul marciapiede, ha avuto l’ardire di protestare.

Collegando quel che è successo dopo la circolare con l’impostazione data alla riforma del codice della strada, viene quasi da pensare a una  mente ministeriale che ha studiato la diabolica strategia, mandando prima i ciclisti allo sbaraglio nelle strade e poi invocando misure per proteggerli.

Conseguenza del loro atteggiamento spavaldo e irresponsabile, aumentano gli incidenti che coinvolgono i ciclisti. Lo stesso Eco di Bergamo dà un aggiornamento per il 2013 fino al 7 novembre del numero delle vittime nella provincia: 8 ciclisti, quasi uno al mese, contro 2 del 2012.

L’ultimo dato Istat, del 6 novembre 2013, riferito al 2012, è di 289 ciclisti morti in tutta Italia.

Sono dati impressionanti, se si confrontano con Parigi, dove non si sono registrate vittime e nemmeno con Londra, dove invece è stato lanciato l’allarme, perché i ciclisti morti quest’anni nei primi dieci mesi sono stati 13.

Il sindaco di Londra, Boris Johnson, appassionato ciclista, non cede alla ipocrisia e dice chiaramente che è colpa dei ciclisti indisciplinati che non rispettano “le regole e la segnaletica”.

In Italia, invece, persiste un atteggiamento irresponsabile da parte delle autorità costituite. Pierfrancesco Maran, delegato Anci alla mobilità, nonché assessore alla mobilità del comune di Milano, spara di queste filosofie: è necessaria

“una drastica rivoluzione dei principi delle regole della strada, che non riguarda solo la bicicletta, ma la necessità di ripensare i centri urbani a misura di pedoni e ciclisti. […] Ci aspettiamo quindi nei prossimi giorni una proposta dal Ministero che consenta di recepire ed attuare nelle città dei cambiamenti a breve ed in contemporanea continueremo a collaborare alla revisione strutturale del Codice della strada”.

Sulle “nuove regole della ciclabilità” nei centri urbani hanno fatto anche un convegno cui hanno partecipato il sottosegretario al sono state presentate proposte che vanno dal riconoscimento dell’infortunio in itinere al limite dei 30 km/h in ambito urbano, dal doppio senso di circolazione per le bici al piano generale della mobilità ciclistica, fino all’applicazione di una Iva ridotta.

Quel che è grave, a detta di Maran, è che il Governo ha

“assicurato un forte impegno ad approvare quanto prima una riforma organica del Codice, che conduca ad un radicale snellimento dell’articolato, a una razionalizzazione dei contenuti e all’introduzione di nuove regole a favore della mobilità nuova”.

 

 

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