Clima, dalla storia di duemila anni fa, riletta con gli strumenti della scienza di oggi, viene un terribile monito. Il ruolo del clima è stato decisivo per fare e disfare gli imperi, da quello romano a quello cinese.
Leggete il libro di Kyle Harper, Il destino di Roma, clima epidemie e la fine di un impero (Einaudi) e poi cominciate a tremare. Sono cinquecento pagine, appendici incluse, che si leggono come un thriller.
Non c’è molto da scherzare. Guardiamoci attorno. Siamo in piena turbolenza climatica, tipico della fine di un ciclo. Se ne sentono di tutti i colori, dalle colpe dell’uomo nel riscaldamento globale all’imminente arrivo di una nuova era glaciale.
La polemica infuria, succedono le cose più assurde come il Papa che prende sul serio una ragazzina saccente. Lo spirito luddista e antindustriale della decrescita felice trova alimento nelle teorie di scienziati in cerca di visibilità e di gloria. Le due superpotenze, Usa e Cina, le più coinvolte nell’inquinamento man-made, per reazione negano l’evidenza.
Forse è vero che l’umanità può farci poco, che siamo in balia delle leggi della natura, che quelle leggi hanno plasmato la nostra storia fin da quando i nostri più antichi antenati sono scesi dagli alberi.
Però è anche vero che gli strumenti tecnologici e scientifici a nostra disposizione sono ben superiori a quelli a disposizione di Marco Aurelio, Antonino, Giustiniano e anche Papa Gregorio con le sue processioni.
Forse invece di perdere tempo in polemiche, sit-in e negazionismi, sarebbe il caso che i governo del mondo e l’inutile Onu studiassero come applicare conoscenze e soldi al tentativo di anticipare e contrastare quegli effetti. Non saranno le domeniche a piedi a salvarci.
Quando gli inglesi si sono decisi di affrontare l’incubo dello smog, ci sono riusciti. Guardate i vecchi film e vi renderete conto. Allora non c’erano tante auto eppure la nebbia, anzi lo smog, fumo e nebbia combinati, avvolgeva Londra e le grandi città. Proibirono l’uso del carbone per il riscaldamento. Oggi a Londra c’è meno nebbia che a Bergamo o a Fiumicino.
Harper non è il primo a leggere la storia nell’ottica dell’impatto delle malattie. Nel 1997 Jared Diamond pubblicò Armi, acciaio e malattie sul tema.
Però la forza del libro di Harper è la sua applicazione a un fatto concreto, la storia dell’impero romano. Dal clima è dipesa la fase trionfale di Roma. Harper la chiama Optimum climatico romano. Durò dal 200 a. C. al 150 dc..
Dal clima è dipesa anche la fine di Roma: altro che corruzione e cattivi costumi, eccessiva pressione fiscale, esercito di mercenari, invasioni barbariche e cristianesimo, islam. Tutto ha contribuito, ma all’origine di ogni fattore di crisi ci fu sempre il clima. Piogge, inondazioni, eruzioni vulcaniche, maree e rotte dei venti hanno minato le basi dell’impero romano, come in Cina quello degli Han. E il colpo di grazia non lo ha dato Attila, ma la peste, portata dai topi che hanno portato le pulci che hanno portato il vaiolo. Anzi, in questo caso, fu la paura del contagio della peste, piuttosto che le preghiere di Papa Alessandro, che indusse Attila a tornare nelle sue steppe.
Fu il periodo detto di transizione, tre secoli dove successe di tutto, culminato nella caduta di Roma e nel suo saccheggio da parte dei vandali (455 d.C.). Poi altri 250 anni di depressione, dal 450 al 700. Coincise con un periodo di glaciazione. Furono i secoli bui. La crisi della cultura non ne fu causa, ne fu conseguenza.
Anche l’ascesa del Cristianesimo è dipesa dal caos causato dal clima. E così è stato per l’Islam e in Cina per il Buddismo. Ad ogni attacco di epidemia, un nuovo credo si affermava. La gente non sapeva letteralmente più a che santo votarsi. Gli dei di Roma non erano stati all’altezza. Neanche il cristianesimo è servito come profilassi, ma almeno dava una speranza per l’aldilà. E inoltre, la solidarietà dei cristiani, estesa anche ai pagani, dava un sollievo concreto in termini di assistenza e anche di cure che certo non offrivano altari, sacrifici e incensi pagani.
Tre sono state le grandi epidemie che hanno messo in ginocchio Roma: 165, peste antonina (vaiolo?); 250, peste di Cipriano; 541, peste bubbonica, durò 2 secoli.
Nella recensione del giornale inglese Guardian c’è una sintesi impressionante: “Opera di notevole erudizione e sintesi, lo studio di Harper è di grande attualità e offre un allarmante avvertimento tratto dalla storia sull'”impressionante e misterioso potere della natura”.
A Roma, nel 400 d. C. vivevano più di 700.000 persone, era una città con 28 biblioteche, 856 bagni pubblici e 47.000 palazzine. Era la più bella del mondo, il gioiello di un impero che comandava su un quarto della popolazione del pianeta. Eppure, nel giro di pochi decenni il grande impero era crollato e Roma contava solo 20.000 abitanti.
Per lungo tempo gli storici si sono appassionati all'”unico e il più grande arretramento nella storia dell’uomo”. Utilizzando i dati di “archivi naturali” come le tracce di genoma e carote di ghiaccio, Kyle Harper offre una nuova interessante versione sul destino di Roma, sostenendo che è stato “il trionfo della Natura sulle ambizioni umane”.
A far arretrare l’Italia sono state le pandemie e i cambiamenti climatici causati dalle eruzioni vulcaniche. Malattie infettive come il vaiolo si diffondevano rapidamente nell’impero urbanizzato grazie anche alle sue famose strade. Il 536-45 d.C. è considerato “il decennio più freddo degli ultimi 2000 anni”, che aveva provocato carenza di cibo. La peste, i cambiamenti climatici e la guerra avevano annullato un millennio di rilevanti progressi.
Quello che deve meravigliare è la capacità di tenuta dell’Impero romano. Dalla prima grande crisi al sacco di Roma di Alarico passarono 300 anni, altri due secoli trascorsero prima che le armate del Profeta privassero Costantinopoli delle ricchezze del Medio Oriente. Per non dire che ci vollero altri 800 anni prima che Costantinopoli cedesse al sultano.
La peste non fu la sola e unica causa. I suoi effetti misero in moto le altre cause. Fanno eccezione le guerre, scatenate non dal clima dall’avidità, decisiva quella fra impero romano e impero persiano. Ma gli effetti delle epidemie dimezzarono la popolazione e in pari misura la base di reclutamento dell’esercito, di qui l’aumento della pressione fiscale per reperire il denaro per pagare i soldati, mentre l’economia boccheggiava perché i capricci del clima avevano messo in ginocchio l’agricoltura. Quando arrivarono i barbari, non c’erano truppe sufficienti per fermarli. E quando arrivarono gli arabi, l’esercito di Costantinopoli, stremato, era stato appena mandato a casa.
Dopo avere letto il libro di Harper, pochi dovrebbero avere la forza di ridere dell’allarme lanciato a Los Angeles che il cambiamento climatico potrebbe provocare un massiccio aumento di topi e dei loro parassiti, tra cui le pulci, che possono essere pericolosi per la salute, e causare la peste bubbonica.
L’allarme è lanciato n un nuovo libro, “Black Death at the Golden Gate: The Race to Save America from the Bubonic Plague”, da Davis K. Randall. Il clima in rapida evoluzione, sostiene, sta mettendo Los Angeles, la seconda città più grande degli Stati Uniti, a rischio di un’epidemia mortale di peste bubbonica causata da pulci trasportate dai topi.
I topi, nei secoli, sono stati il mezzo di trasporto delle pulci in giro per il mondo. Si imboscavano sulle navi e diffondevano la peste. Genova è stata in più di una occasione il punto di partenza in Europa. La peggiore epidemia di peste nella storia fu quella conosciuta come “peste nera“, che nel Quattordicesimo secolo causò la morte di circa 50 milioni di persone soltanto in Europa. La portarono i genovesi, in fuga da una loro base sul Mar Nero assediata dai tartari. Fra gli assedianti era scoppiata l’epidemia e i cadaveri vennero usati come proiettili, lanciati oltre le mura. Terrorizzati, i genovesi fuggirono con le loro navi. A bordo c’era una nutrita colonia di topi, che durante il viaggio e allo sbarco, si moltiplicò velocemente (pare siano fra e specie a più alta capacità riproduttiva).
Citando Robert Corrigan, una delle principali autorità mondiali sullo studio dei ratti, Randall afferma che a livello mondiale le popolazioni di topi urbani sono aumentate dal 15 al 20%; oltre a un clima più favorevole, in città trovano delle scorte di cibo, in particolare nella spazzatura.
Secondo le Nazioni Unite, entro il 2050 si prevede che il 68% degli esseri umani in tutto il mondo vivrà in ambienti urbani. Quei topi, spiega Randall, potrebbero essere il fulcro di una potenziale situazione pericolosa, poiché tendono a ospitare pulci contenenti i batteri della peste bubbonica. “Qualsiasi cambiamento climatico che aumenti il numero di pulci aumenta anche la diffusione della peste”, afferma Janet Foley, docente di medicina ed epidemiologia alla UC Davis.
Senza pensare alla California, basta concentrarsi sull’Italia. Il sottosuolo delle nostre città è dominato dai topi. Non solo Roma ma Milano, Savona, Como e chissà quante altre.
Decine di pagine del libro di Harper sono dedicate alle pulci e al loro ruolo di diffusore della peste. Le pulci vivono del sangue dei topi, ma quando i topi non soddisfano più i loro appetiti, si rifanno sull’uomo.
La lista delle epidemie è molto lunga, un libro del 1976 di William H. McNeill, Plagues and Peoples, fa la storia delle epidemie dalla preistoria a oggi. In appendice c’è la lista delle epidemie che hanno colpito la Cina dal 243 avanti Cristo al 1911. Lettura desolante.
Gli effetti del clima furono positivi per un lungo periodo, fu il già citato Optimum climatico. Quando iniziò a girare storto, furono 600 anni di tormenti. Non fu solo Roma a esserne travolta, ma anche l’altra metà dell’impero, da Costantinopoli fino all’Egitto, tutto andò a pezzi.
Intanto, scriveva nel 536 Cassiodoro, ministro imperiale del sesto secolo, noto ai romani per una strada di Prati: “Il sole sembra avere perso la luce, ha assunto un colore bluastro. Le nostre ombre non si vedono nemmeno a mezzogiorno, come una eclisse che dura da un anno”. Fu un periodo di eruzioni vulcaniche a catena. Poi arrivò Maometto.