Coronavirus, Bernardo Valli, 90 anni in lutto per il nipote morto di ingiustizia

Coronavirus, un triste compleanno per Bernardo Valli. Valli è uno dei più bravi giornalisti del dopoguerra. Ha compiuto oggi, 15 aprile, 90 anni. Ma non gli telefono per fargli gli auguri, mi manca il cuore.

Non per lui, che penso stia benissimo. L’ultima volta che gli ho parlato al telefono era Capodanno, e mi sembrava il più brillante di tutti.

Non per lui ma per il grave lutto che ha colpito lui e la sua famiglia, con la morte per coronavirus di suo nipote Edoardo Valli, ginecologo a Roma, a 61 anni di età.

La morte di un uomo ancor giovane colpisce sempre, fa più impressione in questi tempi di coronavirus. Ma il caso di Valli assume una sfumatura di tragedia nella tragedia che sottolinea l’assurdo della vita e la profonda ingiustizia che la regola.

Mentre noi anziani ce ne stavamo già da un po’ rintanati in casa (l’influenza, virus o non virus, ha colpito tanti di noi in questo spietato inverno di cambiamento climatico), Edoardo Valli è andato in settimana bianca con la famiglia in Trentino.

Al rientro a Roma, i sintomi del coronavirus. Era l’8 marzo. Valli era un ginecologo molto popolare a Roma, apprezzato e stimato dalle sue pazienti per i suoi meriti professionali e anche per la sicurezza che trasmetteva. Aveva lavorato anni all’ospedale Fatebenefratelli, sull’isola Tiberina, simbolo dei parti e tempio della ginecologia a Roma.

La Via Crucis di Valli è stata raccontata, in sintesi efficace quanto dolorosa, da Rori Cappelli su Repubblica. 

Valli chiamò il numero di telefono della Regione Lazio per chiedere aiuto, specificando di essere un medico. Aveva la febbre a 38,7 ma gli risposero che non bastava, prendesse un po’ di tachipirina. Se non passava, chiamasse il 118. 

Un mese dopo, ricoverato, finalmente ma troppo tardi al Policlinico Gemelli, era morto, uno dei 116 medici morti in Italia fino a oggi per il coronavirus.

Il 14 marzo Edoardo Valli aveva diffuso su Facebook, il suo sconcerto:
“Fanno tamponi a Zingaretti, Porro, Sileri, [e viene da aggiungere Lucia Annunziata, cui hanno fatto tamponi, tac e ricovero all’opedale delle infezioni per eccellenza, lo Spallanzani] io ho la febbre da tre giorni, stasera 38,7, ma al numero regionale mi dicono che con questi sintomi non è necessario, stai a casa (grazie) e se peggioro chiamare il 118! Boh, spero che scenda, ho preso la Tachipirina già sto sudando, ma faccio il medico boh”. 
Ai nomi di vip citati da Valli ne andranno aggiunti chissà quanti in Italia.
 
L’amaro gusto dell’ingiustizia diffusa stile marchese del Grillo è ciò che mi impedisce di fare di persona gli auguri a suo zio Bernardo. 
 
Che abbiano curato con attenzione particolare Nicola Zingaretti, Nicola Porro, Pierpaolo Sileri, la Annunziata, non mi scandalizza. 
 
Però non credo che abbiano telefonato al numero regionale e se lo hanno fatto, i relais che sono scattati al loro nome sono quanto fa scattare in me un senso di disagio.
 
Io, come quasi altri 60 milioni di italiani (magari con l’eccezione del Veneto), mi chiedo: E quando toccherà a me? Come mi risponderanno?
 
Se telefonassi a Bernardo Valli per fargli gli auguri, non gli farei piacere, ne sono sicuro.
 
Lui, da sempre ribelle ai vincoli dell’establishment da cui veniva e uomo di sinistra vera e non di partito, soffrirebbe parlando della vicenda del nipote, tema che evidentemente e forzatamente non potremmo evitare. Condividere certi sentimenti a gente come lui e un po’ anche a me, non aiuta, fa solo più male.
 
Lo conosco dal 1981, quando lavoravo alla Stampa di Torino e Bernardo Valli passò con noi dal Corriere della Sera. In questi 40 anni ci siamo incontrati decine di volte, a Parigi e a Roma.
 
Ho ammirato l’uomo ancor prima che il giornalista. Uno che a 18 anni lascia il conforto di una elegante e ricca casa di medici ginecologi a Parma per arruolarsi nella Legione Straniera non può non far parte del mito.
 
Parco di racconti militari, si fece strappare due fatti. Che nel 1954 era scampato al massacro di Dien Bien Phu per un fortunato cambio per turnazione. E che, sergente addetto alla mensa, aveva imposto un menù di ravioli nel pasto natalizio della sua compagnia, provocando la rivolta di quel centinaio di alsaziani che volevano un natale alla tedesca con tanti bei wurstel.
 
La gloria di Bernardo Valli, per i giornalisti della mia generazione, quelli cui gli articoli venivano corretti e anche bocciati, era che lui, quell’area del mondo che va a est e a sud del Mediterraneo, la conosceva non per avere letto Salgari o il Novissimo Melzi, ma per esserci stato, per avere incontrato di persona molti di quei leader.
 
Mi impressionò, una sera a Parigi, nel 1992, il giorno in cui annunciarono che l’egiziano Boutros Boutros-Ghali sarebbe diventato segretario dell’Onu. Dovevamo vederci per cena ma quella volta Valli, sempre puntualissimo, arrivò con qualche minuto di ritardo. Veniva da un appuntamento per una intervista con Boutros-Ghali, che lui conosceva da anni.
 
Il massimo fu durante la guerra civile in Yugoslavia. Valli era un ragazzo sulla sessantina. In una corrispondenza dal fronte, raccontò come, camminando curvo per evitare i tiri dei cecchini, si inoltrò su un ponte su cui si incrociavano cannonate e fucilate.
 
Fino a quando un giovane ufficiale della Legione Straniera gli ingiunse di tornare indietro. Gli chiesi: “Ma ti sei fatto riconoscere? Gli hai detto che eravate colleghi?”. Glissò con una risata un po’ raspa, come hanno quelli di Parma.
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