ROMA – Chi sono le dieci famiglie più ricche d’Italia, “i Paperoni cui la crisi raddoppia il patrimonio” mentre il resto degli italiani precipitava nella semi povertà un po’ per la crisi ma soprattutto per le tasse sul reddito e sulla casa? Repubblica titola sui Paperoni un articolo di Federico Fubini che scavando un po’ nel solco dell’odio sociale trova anche motivi di speranza per il futuro ma ignora la causa principale della nostra povertà: il gigantesco aumento delle tasse, soprattutto quella sulla casa, la patrimoniale strisciante che ci ha messo tutti in ginocchio.
Quanto ai ricchi, almeno virtuali, niente paura, sono sempre gli stessi, un po’ più ricchi alcuni, un po’ meno ricchi altri: Leonardo Del Vecchio, i Ferrero, Berlusconi, Giorgio Armani, Francesco Gaetano Caltagirone, Miuccia Prada e Patrizio Bertelli, Renzo Rosso, Stefano Pessina, i Rocca.
Il loro patrimonio complessivo varrebbe quasi 100 miliardi di euro, un bel balzo, anche se il patrimonio non è calcolato sui loro beni privati, sui soldi che hanno in banca o all’estero, ma sul valore dei titoli in Borsa delle aziende da loro controllate. Da uno come Fubini ci si sarebbe aspettato un discorso più articolato, non solo sul peso delle tasse ma anche sul valore della Borsa, che non corrisponde al valore intrinseco di una azienda ma alle aspettative degli investitori e degli speculatori. Ma la demagogia ha le sue regole. Dal 2008 al 2013, scrive Federico Fubini, è stato
“un balzo in avanti patrimoniale di quasi il 70%, compiuto mentre l’economia italiana balzava all’indietro di circa il 12%. I 18 milioni di italiani al fondo delle classifiche della ricchezza sono scesi invece a 96 miliardi: una scivolata in termini reali (cioè tenuto conto dell’erosione del potere d’acquisto dovuta all’inflazione) di poco superiore al 20%.
Quanto poi a quelli che in base ai patrimoni sono gli ultimi dodici milioni di abitanti, il 20% più povero della popolazione del Paese, lo squilibrio è ancora più marcato: nel 2013 le 10 famiglie più ricche d’Italia hanno risorse patrimoniali sei volte superiori alle loro”.
L’articolo è basato su i risultati di un approfondimento “sui patrimoni degli italiani durante gli anni della crisi. L’analisi si basa sui dati pubblicati dalla Banca d’Italia relativi alla ricchezza netta nel Paese e la sua suddivisione fra strati sociali e, per le famiglie con i dieci maggiori patrimoni, una lista che negli anni è cambiata, le informazioni sono tratte dalla classifica annuale dei più ricchi stilata dalla rivista Forbes” .
Dal 2008, ricorda Federico Fubini e questo lo sappiamo già tutti,
“l’Italia ha subito un colossale abbattimento di ricchezza che si è scaricato con forza verso la parte bassa della scala sociale, mentre al vertice tutto si svolgeva in modo opposto. […] Calcolata in euro del 2013, la ricchezza netta totale degli italiani crolla di 814 miliardi negli ultimi cinque anni (quelli per i quali sono disponibili i dati, fino appunto al 2013). Sparisce nella voragine della recessione quasi un decimo di patrimonio netto delle persone che vivono in questo Paese. Circa due terzi di questa erosione si spiega con il calo del valore delle case, mentre il resto è dovuto a perdite finanziarie o al ricorso di certe famiglie ai risparmi per sostenere le spese quotidiane”.
E le tasse che ci hanno regalato in sequenza, senza soluzione di continuità, Berlusconi, Tremonti, Monti, Letta, Renzi? Fubini non ne sa nulla, a meno che non siano iscrivibili in un capitolo di spesa che esula dallo studio di Repubblica. E il “fiscal compact” da cui derivano metà dei nostri guai degli ultimi anni e deriveranno anche quelli futuri? Repubblica, impegnata a difendere il diritto alle intercettazioni telefoniche, non si era accorta, negli anni scorsi, della montagna fiscale che si stava iniziando a schiacciare. Ma negarlo anche oggi non è bello.
“Chi è già povero si impoverisce più in fretta” e è la scoperta dell’acqua calda. L’Imu e le altre tasse e imposte legate agli immobili, come tutte le imposte e tasse indirette, non colpisce in proporzione al patrimonio. Per Delvecchio, il cui patrimonio nel 2014 era stato valutato da Forbes a 19 miliardi di dollari, un milione di euro di Imu sulla sua casa non è come 10 mila euro per un dirigente, che quella cifra la guadagna in un mese.
La crisi c’è stata, certo, le aziende hanno chiuso e continuano a chiudere, ma le tasse sono la vera rovina degli italiani, anche perché sono state e sono in parte un acceleratore della crisi. Chi potrà mai dimenticare l’effetto devastante dei blitz fiscali a Cortina o in via Condotti a Roma? Sembra che Federico Fubini li abbia dimenticati, ma gli italiani no. In questa luce vanno lette le frasi che seguono:
“Nel 2013 quei 30 milioni di italiani avevano nel complesso 829 miliardi (mentre gli altri 30 controllavano gli altri 8500). Nel 2008 però quegli stessi 30 milioni di persone avevano (in euro 2013) per l’esattezza 935 miliardi. Dunque la “seconda” metà del Paese durante la Grande Recessione è andata giù dell’11,3% in termini patrimoniali. La prima metà invece, i 30 milioni di italiani più ricchi, è scesa dell’8,2%. Gli uni non solo erano molto più poveri degli altri prima della crisi: si sono impoveriti di più durante”.
E la colpa? Non ci si deve girare in giro, è del Fisco. Chi non vuole guardare in faccia la realtà lo fa per ideologica o per qualche altro inconfessabile motivo ed è così che poi si perpetuano gli errori.
C’è poi una parte dell’articolo di Federico Fubini che merita attenzione perché dà speranza. Nello stesso periodo in cui diventavamo più poveri,
“lassù il ritmo dell’accumulazione di patrimoni personali accelerava come forse mai negli ultimi decenni” ed è una storia che
“fa intravedere un po’ di luce in fondo al tunnel, perché la lista dei super-ricchi è cambiata in modo tale da alimentare qualche speranza sulle capacità del Paese di produrre in futuro più innovazione, lavoro e reddito e meno rendite più o meno parassitarie. […] La ricchezza netta [delle prime 10 famiglie italiane per reddito] sale di oltre il 60% in termini reali fra il 2008 e il 2013 e la loro quota sul patrimonio totale degli italiani aumenta. Cambia però anche un altro dettaglio: la loro composizione. I più ricchi del 2013 non sono gli stessi del 2008 o del 2004 e per certi aspetti formano una lista più interessante. Ora nel gruppo si trovano famiglie meno dedite alle rendite di posizione, alla speculazione pura o al rapporto con la politica per fare affari.
Adesso dominano i primi posti imprenditori più impegnati nella creazione di valore, lavoro e manufatti innovativi che interessano al resto del mondo. Negli anni, escono dalla graduatoria di Forbes o scivolano in basso i capitalisti italiani che basano i loro affari su concessioni pubbliche o investimenti immobiliari e finanziari. Emblematica – non isolata – la vicenda dei Berlusconi, che negli ultimi cinque anni perdono 3,2 miliardi di patrimonio e scivolano dal primo posto del 2004, al terzo del 2008, al sesto del 2013. Sale in fretta invece il patrimonio di produttori industriali dediti all’export. Succede nell’alimentare (i Ferrero o i Perfetti), nella moda e lusso (Del Vecchio di Luxottica, Giorgio Armani, Miuccia Prada e Patrizio Bertelli, Renzo Rosso), nella farmaceutica e nell’industria ad alto contenuto tecnologico (Stefano Pessina o i Rocca di Techint). Escono dalla top ten invece investitori finanziari-immobiliari come Caltagirone o chi in passato ha puntato troppo sulle banche”.
(foto Ansa)
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