Dopo Claudio Giardiello: un carabiniere a Milano uno a Roma, sicurezza o spreco?

Dopo Claudio Giardiello: un carabiniere a Milano uno a Roma, sicurezza o spreco?
Un carabiniere davanti al Palazzo di Giustizia di Milano. Garantisce la sicurezza o è solo immagine?

ROMA – La foto del militare, forse un carabiniere, in assetto di guerra con il mitra in pugno, sul marciapiede davanti al Palazzo di Giustizia di Milano è un simbolo dei paradossi d’Italia: l’assenza di cultura della sicurezza.

L’assurdo è già nella foto, scattata per pura esibizione. Se quel militare entrasse nel mirino di un attentatore, sarebbe un bersaglio elementare: avrà certamente il giubbotto anti proiettile, ma la testa come la protegge?

Con un baschetto sull’orza, mentre l’elmetto, la cui funzione sarebbe proprio quella di fermare i proiettili, è appeso al fianco sinistro del militare.

Basta fare una passeggiata in una città italiana per vedere la totale assenza di cultura della sicurezza: sentinelle distratte, pattuglie impegnate a parlare di paghe e diritti, se un gruppo di terroristi si impegnasse un po’, come ha fatto Claudio Giardiello, non ne resterebbe uno in piedi.

A Roma, tanto per fare un esempio, da anni c’è una camionetta di carabinieri all’ingresso del Ghetto degli ebrei . Anche se gli accessi al Ghetto moderno sono due, ai due lati del recinto della Sinagoga, la camionetta è una sola, piazzata a uno dei due lati, esattamente davanti a una chiesa cattolica, messa lì, la chiesa, ai tempi del Papa re per esortare gli ebrei a convertirsi alla vera religione. Ogni volta che un ebreo entrava o usciva dal Ghetto si supponeva la leggesse e ci pensasse su e per favorire la conversione sulla facciata della chiesa campeggia una apposita scritta in ebraico, messa lì probabilmente senza pensare che gli ebrei sono probabilmente i più antichi abitanti di Roma, c’erano già prima di Cristo e la loro cucina è gran parte della cucina romana tipica, ci si identifica, la domina.

Quei carabinieri danno poco l’impressione di controllare qualcosa, anche per ragioni logistiche: la strada è in realtà una piazza, dove può passare un carro armato senza che quei poveri carabinieri possano fare nulla. Viene il dubbio che siano lì più che per proteggere Ghetto o Sinagoga per far la guardia alla chiesa. La loro vera attività sembra essere piuttosto l’assistenza ai turisti.

Qualche decina di metri più in là c’è invece una garitta di vetro, davanti al cancello per cui si accede al Museo ebraico. Quel povero carabiniere sembra un pesce un po’ fuor d’acqua, della sua guardia la Sinagoga non si avvale, i controlli se li fanno con gente loro,dall’aria tosta e focalizzata. Il povero carabiniere legge, guarda il telefono e per respirare un po’ tiene la porta aperta.

Questo assetto è in corso da anni. Da qualche settimana hanno rinforzato la guardia: pattuglie di carabinieri e polizia , almeno due, a volte tre, spiccano fra i turisti e gli abitanti del Ghetto. Danno indicazioni ai turisti, parlano tra di loro, se veramente gli ebrei di Roma dovessero contare sulle forze dell’ordine in divisa per contrastare eventuali attacchi, non avrebbero l’aria serena che invece hanno, sedendo a chiacchierare e spettegolare sulle panchine come usava una volta, in una delle piazze di Roma dove ti senti più sicuro. Te lo puoi permettere perché se ti guardi attorno e hai un po’ d’occhio vedi uomini dall’aria vigile, vestiti in modo da avere il massimo di agilità, che tengono sotto controllo il movimento. Non sono giovanissimi, piuttosto tra i 40 e i 60 anni, ma se li vedi capisci che non hanno voglia di scherzare.

Sempre a Roma c’è un altro caso ancor più clamoroso di spreco di militari ed è in piazza Sant’Egidio, a Trastevere. La piazza è lunga e non molto larga, su un lato, davanti a un palazzo, c’è sempre una camionetta dell’esercito, ragazzi e ragazze in divisa che quando li vedi ti fanno una gran pena.

Loro sapranno certamente l’obiettivo che devono sorvegliare: la sede della Comunità di Sant’Egidio? Il Museo di Roma? Oppure?

Niente di strano, non è sulla destinazione di risorse dei contribuenti per la protezione di sedi non dello Stato che si vuole obiettare, ma sulla loro utilità. Piazza Sant’Egidio è nel cuore della movida di Trastevere, anche nei giorni di minore afflusso quasi non ci si può camminare, un po’ a tutte le ore.

Spesso la piazza è invasa da bancarelle multietniche, a volte ci sono anche le esibizioni di artisti di piazza, vero tratto caratteristico della Roma di Ignazio Marino e di Sel. Pensare a quello che potrebbe succedere dà i brividi. Come è possibile che se in quella piazza ci sono obiettivi sensibili se ne permetta un uso che fa a pugni con la più elementare sicurezza? Perché mettere a repentaglio l’incolumità dei nostri militari, carabinieri, poliziotti, solo per far vedere che qualcuno nelle alte sfere se ne preoccupa.

Roma è forse la città in Europa con la più massiccia presenza di sentinelle e pattuglie che però non riescono a bloccare gli scippi, tenere a bada le zingarelle, e, Dio ci risparmi la controprova, probabili inutili testimoni di un potenziale attentato. Quel che conta non è l’apparenza, è la sostanza, la sicurezza non si deve vedere, la si deve percepire.

Quei ragazzi addetti alla sorveglianza saranno stati magari anche addestrati, cosa di cui in alcuni dei casi citati sopra è lecito dubitare: ma è il sistema che manca, è la cultura. Si fanno tanti viaggi all’estero a spese dello Stato: facciamone qualcuno dai veri esperti di security e i fondi che restano spendiamoli per una formazione intensa di tutti gli uomini impiegati nella sorveglianza esterna.

Per il momento, Ghetto di Roma batte Stato Italiano 3-0. E siamo generosi.

 

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