Mario Draghi, il primo ministro italiano, ha avuto un ruolo importante, come ha rivelato un giornale inglese di proprietà giapponese, nel blocco delle banche russe culminato nella loro esclusione dallo SWIFT.
E ha fatto bene. Come ha fatto bene a dire, nelle ultime ore, che “non vogliamo una escalation” della guerra in Ucraina, ma che “se Kiev non si difende non avrà la pace, ma schiavitù”.
L’Italia non può stare nel mezzo. Draghi è fra i pochi che sono ben consapevoli del fatto che se Putin passa in Ucraina, l’Europa tornerà al vecchio ordine sancito a Yalta.
A noi italiani andò bene e andrà bene, ma, come dicono a Genova, maniman…Il rischio per l’Italia è altissimo. Se Putin avrà via libera in Ucraina, la Cina è pronta a papparsi Taiwan. Sarà un passo in più verso il dominio del mondo: Cina continentale più Honk Kong + Taiwan + milioni di cinesi embedded in tutto il mondo: chi li ferma?
Nella preparazione delle sanzioni, Draghi ha avuto un ruolo importante.
Anche se non decisivo, come invece i sostenitori di Putin vorrebbero affermare. Ma si è trattato di un ruolo chiave nella definizione del progetto e anche nelle decisioni politiche che hanno portato alla sua implementazione.
Vediamo come il Financial Times ha ricostruito il processo che ha portato alle sanzioni finanziarie. “Come trasformare la finanzia in arma” (weaponisation) l’hanno definito Valentina Pop, Sam Fleming e James Politi.
Tutto ebbe inizio il terzo giorno della guerra in Ucraina. Era sabato. Il ministro del Tesoro Usa, Janet Yellen, a Washington leggeva e rileggeva i dettagli di un piano inedito, estendere le sanzioni alla Banca centrale russa.
Gli americani avevano già imposto in passato sanzioni a banche centrali: Corea del Nord, Iran e Venezuela, ma si trattava di Paesi isolati dal grande flusso del commercio mondiale.
A Bruxelles i vertici europei fremevano, temendo che i russi potessero avere sentore del piano, e spingevano per fare il più presto possibile.
A questo punto Ursula Von der Leyen ha telefonato a Mario Draghi, il più competente in materia, chiedendogli di prendere in mano la partita e di definire i dettagli del piano direttamente con la Yellen.
Ricorda un alto funzionario di Bruxelles: “Draghi ha fatto la magia sulla Yellen. Entro la sera c’era l’accordo fra le due sponde dell’Atlantico”.
Il piano Yellen-Draghi
Il piano su cui Yellen e Draghi si trovarono d’accordo era qualcosa che mai si era verificato nella storia. Congelare una grande parte dei 643 miliardi di dollari di riserve estere di Mosca era (meglio scrivere sarebbe stata) una vera e propria dichiarazione di guerra alla Russia.
Questo modo di agire, nota il FT, rappresenta un nuovo tipo di guerra, combattuto non con uomini e armi, ma col dollaro e le altre monete occidentali trasformate in armi per punire un avversario. Non si tratta proprio di una novità assoluta. Le varie generazioni di funzionari che si sono succedute alla Casa Bianca ci hanno lavorato per 20 anni, man mano che appariva evidente che gli elettori americani erano sempre più disamorati rispetto alle imprese belliche del loro esercito.
Il che non è nemmeno una novità. Le radici sono nella dottrina Monroe, esposta dal suddetto nel 1823. L’isolazionismo americano è all’origine della lenta reazione (reazione non attacco) nelle due guerre mondiali del XX secolo.
Ora però la weaponization” della finanza avrà profonde implicazioni sulla natura della politica e della economia internazionali. La globalizzazione, vista in passato come una barriera al conflitto, perché metteva assieme antichi nemici, sta diventando invece un campo di battaglia.
Sul lato europeo, scrive il FT, è stato Draghi che ha spinto l’idea di sanzionare la banca centrale russa. Draghi ha preso l’iniziativa. L’Italia, un grande importatore di gas russo, è stata spesso esitante di fronte alle sanzioni. La storia inoltre insegna che le sanzioni non sono così efficaci come si vorrebbe: da quelle imposte all’Italia di Mussolini, all’Iraq di Saddam all’Iran degli ayatollah.
L’Italia di Draghi cambia rotta sulla Russia
Questa volta però Draghi ha sostenuto che i russi avrebbero potuto usare le loro riserve per attenuare l’impatto delle sanzioni. “Per evitarlo, bisogna congelare i beni” sarebbe stata la tesi di Draghi.
L’abilità di Draghi di chiudere l’accordo con la Yellen ha avuto come conseguenza che a Mosca sono stati colti di sorpresa. Se qualcosa fosse trapelato, i russi avrebbero potuto cominciare a spostare le loro riserve in dollari in altre valute. Invece i russi si accorsero di quanto gli stava arrivando addosso, il lunedì mattina, quando ormai era troppo tardi.
Draghi nel contesto internazionale
Per la Quinta Colonna russa attiva in Italia, tanto basta per includere Mario Draghi nella lista dei cattivi guerrafondai internazionali.
Per gli italiani che ragionano con un po’ di visione, invece, Draghi ha conseguito due obiettivi :
1. Rafforzare la posizione internazionale dell’Italia, corrosa in 70 anni di governi più sensibili agli stormir di fronde casalinghi che al nostro ruolo nel mondo. Aggravata peraltro per decenni dalla osservanza ai diktat di Mosca. E dalla esportazione nella sostanza e nella autolesionistica immagine di mafia e affini. (non è molto chiaro)
2. Mettere a punto un sistema punitivo alternativo all’intervento militare, forse non di equivalente impatto ma assai meno rischioso. I fantasmi della prima guerra mondiale incombono.
Ma incombono anche i ricordi delle tragiche conseguenze della debolezza delle democrazie occidentali verso Hitler. Se Putin avrà via libera, non sappiamo dove il domino si fermerà.
Putin ha fatto un eccellente lavoro di infiltrazione in Occidente
Ammetto che suona come la vecchia teoria del domino che fu alla base della guerra del Vietnam. Un po’ sì ma molte cose sono cambiate. Negli anni sessanta, due sistemi economici e politici erano a confronto. Da allora, dopo la fine del comunismo in Europa, l’ideologia ha lasciato il posto alle vecchie regole della geopolitica da che mondo è mondo.
Putin ha preparato le sue mosse facendo capitale delle vecchie lealtà comuniste (o labour estreme) nell’Europa occidentale e anche dei forti legami di business con i tedeschi dell’Ovest fin da subito dopo la guerra.
Su questi ha sviluppato nuovi intrecci nell’area di destra. Ha tirato i primi colpi a oriente, sventrando la rivolta in Cecenia. Poi ha trafficato nel Caucaso, nella patria dei suoi modelli Stalin e Beria. In testa aveva e ha un disegno, grande e patriottico. Restaurare la posizione russa come costruito per mezzo millennio dai grandi zar bianchi e rosso. Allungare le mani sulla Polonia sulla strada tracciata dal mitico Lenin. Coprirsi le spalle a occidente in attesa dello scontro finale con la Cina.
Non a caso Donald Trump (tenuto al guinzaglio da Putin), ha scatenato una guerra industriale e commerciale contro la Cina dal versante americano e ha ripristinato i vecchi equilibri nel crocevia dell’Afghanistan.
Non è che Putin abbia torto, ragionando da Russo, ma c’è un ma
Se proviamo a metterci nei panni di Putin e a ragionare come lui, non possiamo che arrivare alle stesse sue conclusioni. E se ragioniamo con distacco, non è che possiamo fare degli ucraini il simbolo di un popolo ideale di eroi e martiri, anzi dobbiamo convincerci che una buona quota di notizie di fonte Kiev siano fandonie. Un po’ come quando nell’89 i loro vicini romeni di Timisoara tirarono fuori i morti dall’obitorio per denunciare le stragi della polizia.
Peccato che noi siamo per nostra gioia e fortuna dall’altra parte. I nostri interessi non coincidono con quelli di Putin. Se cade il domino, per noi è amaro. Chi sta con Putin, chi assume posizioni terziste rispetto all’Ucraina, non è necessariamente un traditore o un venduto. Ci sono precedenti illustri di persone perbene che fecero il gioco di Hitler sulla spinta di un buonismo che poi l’Europa pagò carissimo.
Anche se l’Italia nel mondo conta meno di niente, la nostra posizione può peggiorare quel niente. O, invece, restaurare un po’ di dignità al Paese che, dai tempi della disfida di Barletta ha coperto il proprio onore con il telo del Francia o Spagna purché se magna. Nel mondo ci chiamano maccaroni, anche i tanto amati ucraini ci chiamano così.
I giochetti e le furberie dei Governi italiani fra il 1914 e il 1919 li abbiamo pagati cari a Versailles. Per anni l’insensatezza criminale di Mussolini e il cambio di fronte attuato a metà della guerra dagli stessi re e fascisti prima acquiescenti come pecore davanti al duce, ha pesato sulla percezione che i tedeschi hanno degli italiani. Al resto ci hanno pensato Mafia, ‘Ndrangreta, Sacra Corona Unita, Camorra e affini.
Anche per questo il comportamento tenuto da Draghi dietro le quinte dello schieramento occidentale va sottolineato come condotta abile e intelligente, nonché come l’unica possibile.