Coronavirus, effetto sulla lingua italiana. La ministra torna ministro. Alleluja. Solo per questo è giusto e doveroso abbuonare a Lucia Azzolina tutte le critiche che le possono essere mosse. E anche il peccato originale di militare nel Movimento 5 stelle, seguace di Beppe Grillo e Casaleggio, Di Maio e Di Battista. E costretta a consultare come l’Oracolo di Delfi la piattaforma Rousseau.
Non sono la indiscutibile bellezza, né l’impenetrabilità dello sguardo, né la incalzante pronuncia siracusana, nonostante gli anni trascorsi in Piemonte che ce la rendono affascinante e cara.
Ma il fatto che in conferenza stampa a Palazzo Chigi, accanto al primo ministro Giuseppe Conte, che, in ossequio al vangelo boldriniano, l’aveva appena chiamata “ministra”, Lucia Azzolina ha detto di se stessa: “ministro”. “Come ministro dell’Istruzione io spero” ha detto, proprio così, come ministro.
Verificate da soli nel video qua sotto, al minuto 1,24. Sentite come lo scandisce bene, con quella sua bella voce un po’ aspra.
Una ventata d’aria fresca, nel clima da Concilio di Trento che ammorba i giornali nell’era post Boldrini. Molti l’hanno già dimenticata e rimossa, insieme col ricordo dei voti che ha fatto perdere alla sinistra. Eppure Laura Boldrini resterà sempre nella memoria di chi ha a cuore sinistra e libertà di stampa. Come? La vicenda fa ancora male adesso, sette anni dopo.
Poi fece anche aprire la Camera nel mese d’agosto per far passare una legge sul femminicidio. Un mese dopo sarebe stato uguale. Certo il numero dei delitti contro le donne, noti da prima che lei nascesse come omicidio o più precisamente uxoricidio, non è calato per effetto del passaggio dal latino al volgarissimo padan-meridionale femmina (fumna in piemontese, fimmina in siciliano). Uno scadimento di gusto e di tono che solo i figli e i nipoti del ’68 possono avere concepito.
Solo Silvia Truzzi sul Fatto ha avuto l’ardire di criticarla ferocemente.
L’impatto di maggiore portata della permanenza di Laura Boldrini nella terza carica dello Stato è proprio quello sulla lingua italiana. Da lei infatti ha preso impulso l’ipocrita e pseudo femminista uso di girare in finale a parole che definiscono mestieri che furono per secoli riservati agli uomini e pertanto parole di genere maschile.
Qui i giornali hanno dato il meglio, nel rifiuto del senso del ridicolo. Così sindaco è diventato sindaca, ministro ministra, assessore assessora, avvocato avvocata e via via. Ancora non siamo arrivati a definire il giornalista uomo “giornalisto”, il callista callisto, il prete, con l’ambigua finale in e, preto.
Ma prima o poi il MeToo ci chiederà il cambio di finale. Mentre i callisti vivranno tranquilli, almeno fino a quando uno o peggio una di loro non entrerà in politica.
Probabilmente ci sono delle donne di buon senso che si vergognano un po’. Avvocato è avvocato quale che sia il genere di appartenenza, per anni si diceva avvocatessa, come professoressa (e non professora).
Il top di questa farsa si è avuto, proprio al Ministero dell’istruzione, ai tempi di Valeria Fedeli. A un incauto giornalista che le si rivolse chiamandola ministro la Fedeli replicò piccata: “Mi può chiamare ministra?”. Risultò che non aveva la licenza di scuola superiore, altro che la laurea. Ma questo non vuol dire perché è il bello della democrazia rispetto alla oligarchia aristocratica del passato.
Ora Lucia Azzolina, che ha la laurea e anche di più, ha raddrizzato le cose. Mi vien quasi da votare grillino, non fosse che poi penso a Vito Crimi e mi passa.
(Fonte YouTube)