Ester Mieli e la parabola politica di Aldo Finzi: ebreo come lei, fu fascista, morì alle Fosse Ardeatine

di Marco Benedetto
Pubblicato il 2 Luglio 2024 - 15:36
Ester Mieli in giacca rosa parla davanti a un microfono

Ester Mieli e la parabola politica di Aldo Finzi – Blitzquotidiano.it (foto Ansa)

La senatrice Ester Mieli dovrebbe conoscere la storia e trarne insegnamento. Mi riferisco alla parabola politica di Aldo Finzi, ebreo come lei, aderì al fascismo, fu sottosegretario, morì alle Fosse Ardeatine.

Non è un augurio, ovviamente,né una previsione: il mondo è cambiato grazie al Cielo, anche se non ce ne rendiamo conto e non ce lo meritiamo. Ma il passato offre spunti e lezioni che non si possono dimenticare.

Wikipedia su Aldo Finzi è essenziale ma chiaro.

Sostenitore del fascismo, partecipò alla Marcia su Roma e divenne sottosegretario nel Governo Mussolini; divenuto critico nei confronti del regime, fu inviato al confino ed espulso dal Partito Nazionale Fascista. Dopo l’invasione tedesca dell’Italia, cercò di collaborare con gruppi partigiani legati al Partito Democratico del Lavoro, ma fu scoperto ed ucciso dai tedeschi nell’eccidio delle Fosse Ardeatine.

ESTER MIELI E IL PRECEDENTE DI FINZI

Mani alzate nel saluto romano, imbarazzo per Ester Mieli

Ester Mieli e la parabola politica di Aldo Finzi

A quel tempo potevi capire la scelta iniziale di Finzi. Il caos in cui era finita l’Italia dal 1919, il bisogno di ordine e la volontà dei più di non trasformare il Paese in una repubblica sovietica sono motivazione sufficiente.

Quando Finzi capì era ormai troppo tardi. Ora la sen. Mieli non credo corra i rischi di Finzi così come l’Italia di oggi non è quella del 1922.

Ma non si sa mai. Anche se oggi per avere il passaporto tedesco devi giurare amore per Israele, le pulsioni naziste in Germania non possono essere minimizzate come folklore.

Quando negli anni ‘20 di un secolo fa il fondatore della Fiat Giovanni Agnelli esortava i suoi giovani ingegneri a fare le vacanze a Berlino e ci andava anche lui, la Germania era la patria della libertà. Nel 1933 Hitler andava al potere.

Il fascismo in Italia è morto nel 1945. Uno che considera Mussolini un grand’uomo e un modello più che altro è da ricoverare.

Gagliardetti, bandiere, eja eja alalà fanno parte di riti che si tramandano da 80 anni. 

L’ATTRAZIONE DEI GIOVANI PER LE ESTREME

Naturale che i giovani ne siano attratti. Essere giovani vuole dire amare gli estremi. In guerra ci andavano e ci mandavano a 17 anni, non a 40.

Facile ma doveroso il ricordo degli opposti estremismi. Alla violenza neofascista corrispondeva, moltiplicata, quella dei compagni che sbagliano.

C’è anche da dire che la situazione italiana non è quella tedesca. In Germania cova il rancore di un Est ex comunista che ha perso i privilegi del comunismo senza grandi effetti dello splendore capitalista. 

In Italia le ex aree depresse, nonostante il piagnisteo meridionale, stanno bene. La Sardegna non è la Corsica, il Friuli non è Brandeburgo e nel grande sud nessuno ha il coraggio di pensare come starebbero sotto il regno delle due Sicilie.

Certo al fondo del cuore di Giorgia Meloni e camerati ci può essere il sogno di un ritorno allo Stato corporativo, ai sabati in camicia nera e al mito dei treni in orario.

Credo anche che non ci si debba confondere con le parole. I Fratelli d’Italia non sono un partito conservatore, come amano definirsi per opporsi alla sinistra nominalistica. Sono un partito rivoluzionario come lo era, a suo modo, il fascismo.

Ma tanti anni passati nelle fogne hanno installato nella parte più matura una bella dose di quel vaccino che si chiama realismo.

L’Italia di oggi non è quella di cent’anni fa. Non c’è più un re con una dinastia da proteggere, gli analfabeti non sono più la maggioranza, votano le donne, siamo la seconda o terza potenza industriale in Europa, non siamo più terra di emigrazione di massa ma di immigrazione. 

L’elenco è lungo ma questo basta per capire la differenza.

Tutto quanto precede potrebbe rendere vane le parole iniziali. Invece credo che non sia così. L’esempio di Finzi è scolpito nella storia.

Ci sono dei limiti a tutto (sempre escludendo altre ragioni più profonde a noi ignote). Una personalità di rango della comunità ebraica (fu o è portavoce di quella romana) non può mescolarsi con i ragazzi che gridano eja eja alalà.

Dopo la bomba di Fanpage, non può cavarsela dicendo

“È evidente che la presenza di elementi nostalgici piegati a un passato riprovevole e criminale non mi appartengono. Le parole e i comportamenti sono per me motivo di condanna e di disapprovazione». Frasi calibrate con attenzione per ribadire la sua fiducia in Fratelli d’Italia: «Sono sicura che i vertici di FdI sapranno confermare la vocazione e la sostanza di un partito conservatore completamente libero da ideologie e comportamenti nostalgici” (da Paolo Conti, Corriere della Sera).

In realtà è tutto il suo percorso politico a lasciare perplessi. 

Nata nel 1976 e cresciuta quindi negli anni di maggior floridezza per gli italiani, ha un primo flirt politico con Walter Veltroni nel 2007 (“di Veltroni ho grande stima e di lui mi colpisce soprattutto la forza” sono parole che lasciano quanto meno perplessi).

Ma poi, cito sempre Paolo Conti, nell’ultima stagione di Gianni Alemanno, sindaco fino al 2013, diventa portavoce della giunta di centrodestra. In quell’anno dice no anche alla proposta di candidatura nella lista Monti. 

Nel 2022 l’amore per Meloni:

“Mi fido di Giorgia Meloni perché è coerente. Dice quello che pensa, con determinazione e coraggio cerca di realizzarlo senza false promesse”.

Non le si può dare torto questa volta. Giorgia Meloni è il meglio che l’Italia abbia avuto dai tempi di Craxi e Andreotti.

Ma ci sono dei limiti che nemmeno la rivelazione sulla via di Damasco può permettere di superare. San Paolo lo fece e gli tagliarono la testa.