Facebook va chiuso, dovrebbe essere un impegno unitario di tutte le forze politiche in tutto il mondo. E dovrebbe anche essere costretto a pagare le tasse.
Cosa che invece fa solo in parte, adducendo costi che se lo faceste voi sareste arsi vivi dall’ultimo impiegato del Fisco.
Berlusconi, invece di invocare una inchiesta parlamentare sui pm, ne dovrebbe pretendere una sullo strapotere dei social network che poi è sempre Facebook. È Facebook il vero concorrente della cosa cui Berlusconi tiene di più al mondo, Mediaset.
Ed è anche la minaccia più grave che i giornali devono fronteggiare. Minaccia sul mercato della pubblicità, minaccia perché se un giornale vuole diffondere i suoi contenuti fra i seguaci di Facebook deve pagare un pedaggio più caro di quello che il ritorno pubblicitario fa rientrare.
Fin qui però siamo nel territorio del business e business is business, è la legge della giungla o, se preferite, la legge della evoluzione. Ma Facebook costituisce una minaccia ben più grave di quella esemplificata qui sopra.
I duri e puri della sinistra, di cui Benigni è il profeta, farebbero meglio, finché in tempo, a interrogarsi sul futuro della loro tanto amata Costituzione più bella del mondo, e anche di tutte le altre Costituzioni, meno belle ma migliori nel funzionamento, quando Facebook dispiegherà tutto il suo micidiale potere.
L’Antitrust dovrebbe definire ruolo e responsabilità di un monopolista che, in quanto tale, deve operare secondo doveri e vincoli del servizio pubblico.
Credo che pochi di quanti lo hanno letto abbiano tratto la giusta morale da “Merchants of Truth” di Jill Abramson, già direttore del New York Times. Le 30 pagine che dedica a Facebook dovrebbero fare riflettere.
Sostenere che Facebook è una minaccia alla democrazia è una banalità tanto quanto lo stesso concetto di democrazia.
Lo era quella ateniese, dove in 10 mila decidevano per gli altri 100 mila (schiavi inclusi, poi si sarebbe il destino dei più di noi). Ma erano democrazia anche quella del Regno Sabaudo e quella del Kaiser e dello Zar. E per Lenin e Stalin e discepoli lo è sopra tutte le altre la dittatura del proletariato, unica vera forma di democrazia assoluta.
Ciascuno degli esempi elencati è a suo modo una forma di democrazia: non può prescindere dal consenso di una parte più o meno ampia dei cittadini. Il modello di democrazia occidentale che oggi regola la nostra politica, a mio giudizio, è il migliore di quanto finora costruito nella storia del mondo, pur con tutti i limiti e difetti che possiamo verificare ogni giorno.
Tra i buchi o bugs del sistema c’è quello che Facebook può diventare: il mostro che trasforma un sistema democratico in una dittatura come quella del grande fratello. Non quello della tv ma quello delineato con terrore da George Orwell nel 1948, nella fase finale della dittatura di Stalin. Orwell i comunisti li aveva visti all’opera in Spagna, anzi era riuscito a evitarne il plotone d’esecuzione di stretta misura.
Visti alla luce della recente esperienza appaiono dei rozzi macellai. C’è un modo molto più raffinato e perfido per appropriarsi del potere in Occidente. Non corrono questo rischio i cinesi perché il Governo è fatto di gente capace e hanno bloccato i sociale network, incluso il cinese tik-tok.
Oggi Facebook può essere la strada del potere versione XXI secolo. Al fondo, un sistema totalitario privo di controlli, che decide cosa i cittadini debbano e possano sapere. Senza dovere rendere conto a nessuno, i capi di Facebook, gli attuali o chiunque abbia i mezzi per lanciare un’opa su Meta, magari gli stessi cinesi, sarebbero in grado di orientare il pensiero degli elettori non a solo alle scadenze naturali delle elezioni, ma ogni giorno, ogni ora, con continui sondaggi, manovrati da specifiche notizie diffuse all’interno di quel mondo chiuso che sono i suoi utenti.
Pochi credo ricordino il film Quinto potere, del 1976, in cui Peter Finch rappresentata la capacità di influenza della tv. Ancor meno sono quanti ricordano Quarto potere, del 1941, in cui Orson Welles presta la sua arte alla figura del tycoon della carta stampata W. R. Hearst.
La grande differenza fra i rischi denunciati nei due film e il rischio rappresentato da Facebook è che tv e giornali operano in un sistema pluralistico, dove nessuno è mai arrivato a un controllo totale delle fonti.
Facebook opera in un regime di monopolio assoluto: il suo ciclopico computer contro miliardi di telefonini e laptop a cui fa arrivare i messaggi che vuole. Una signora si è vista bloccare la pagina su FB perché aveva postato una ricetta per l’insalata russa.
Sono testimone diretto della opacità e quindi pericolosità dell’agire di Facebook e anche della arroganza dei suoi rappresentanti.
Volevo verificare l’efficacia delle sponsorizzazioni degli articoli di Blitz su Facebook per poi fare un calcolo di convenienza. Era il 9 febbraio 2023. Sembrava che tutto fosse approvato. Il giorno dopo ho scoperto che avevano sospeso l’account, perché l’annuncio, che volevo pubblicare ma che avrebbe dovuto elaborare lo stesso staff di Facebook, violava le regole di Facebook. Quali regole? Leggi il manuale, cioè una insulsa sequela di parole congegnate per evitare che forniscano appiglio a qualche causa. Un bottone mi fa sperare: se vuoi sapere di più clicca qui, ti risponderemo entro 48 ore. Invece sono rimasto senza spiegazioni e anche il bottone è stato reso inagibile.
La circostanza mi fa andare indietro di qualche anno quando entrai in contatto con l’allora capo di Facebook in Italia. Quando capì che cercavo aiuto e non volevo pagare pegno, mi mandò un sms: non si permetta di cercarmi più. Obbedii. Quanto successo in questi anni, a livello globale, è lo specchio di quella prepotenza e pericolosità.
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