ROMA – Paolo Gentiloni è intervenuto nel gran chiacchiericcio della crisi politica italiana con una frase lapidaria: “Mi accontento di poco. Vorrei che questo #Governo andasse a casa. Martedì”, ha scritto su Twitter. In questa frase c’è l’aspirazione di ormai 9 italiani su 10. Così Gentiloni, che è stato il miglior capo di Governo degli ultimi 30 anni a essere stretti si orizzonte, dando un po’ di buon senso e decoro dopo il caos in cui si sono cimentati un po’ tutti, da Amato-Ciampi a Renzi, via Prodi, Berlusconi e successori, così Gentiloni liquida in peggior Governo (dopo Monti e Letta) della storia repubblicana.
Cosa accadrà dopo? Può succedere di tutto, martedì 20 agosto 2019. Ma una sola cosa deve succedere: nuove elezioni. Non lo dicono solo i sondaggi lo dicono anche i voti espressi dagli italiani nelle ultime libere elezioni, quelle per il Parlamento europeo. In quel voto c’è tutta la delusione per la esperienza grillina, capace solo di distribuire un po’ di denaro a un po’ di elettori meridionali (al Nord quegli scriteriati genovesi che hanno tradito le origini comuniste per fidarsi di Grillo hanno imparato a loro spese col ponte Morandi sulla testa) e di considerare come fondamentale per il futuro dell’Italia il taglio del numero dei parlamentari. Emblema del Partito dell’odio e dell’invidia, simbolo della pochezza ideologica e culturale del Movimento 5 stelle.
Il pallino ora è in mano al Pd, il partito di cui Gentiloni è presidente e Nicola Zingaretti è segretario. Zingaretti non è Togliatti, ma ha fatto politica da sempre e tanta gavetta e conosce le regole e i trucchi del mestiere. Sa che se il Pd si allea col M5s la prospettiva è scendere dalla pedana dell’opposizione, in attesa della riconquista, a un piano terra di marginalità e oblio. Le anime dei due partiti sono incompatibili. Il Pd, con tutti i difetti di questa generazione di politici, e pur con la coesistenza di tre radici, comunista, democristiana, ambientalista, è un partito di progresso, di gente colta e ammodo.
Il M5s è partito di gente che crede alle scie chimiche, nega l’utilità dei vaccini e è un partito di regresso. Non è un partito che conosce la democrazia. Lo ha fondato un comico (non metto aggettivi, ve li lascio immaginare), lo guida con mano di ferro senza guanto di velluto una azienda privata milanese di informatica. Zingaretti sa che se non prende in mano il partito in Parlamento, il Pd sarà come nave senza nocchiero in gran tempesta, con Renzi alle vele che lo spinge sugli scogli. Se si va alle elezioni, dicono i sondaggi, il Pd può solo fare meglio, non peggio della gestione Renzi. Questo in termini di numeri. In termini di qualità del partito e di sua governabilità invece la differenza è abissale. Oggi Zingaretti è un segretario dimezzato, esposto ai giochi e alle manovre di Renzi. L’Italia intanto è un Paese da ridere. Infatti ci ridono dietro e anche davanti, in tutto il mondo. Altro meglio non aggiungere, aspettando domani.