Guerra, 10 giugno 1940. Fa giusto 80 anni oggi. La dichiarazione “è già stata consegnata agli ambasciatori di Gran Bretagna e di Francia”, annunciò Benito Mussolini dal balcone di Palazzo Venezia. “L’ora delle decisioni irrevocabili batte nel cielo della nostra Patria”. Poi l’urlo:
“L’Italia, proletaria e fascista, è per la terza volta in piedi, forte, fiera e compatta come non mai”.
In quella parola “fascista”, pronunciata con la s romagnola, fasista, c’è tutta la comicità che tinge la fasulla epopea del fascismo.
In quella parola, proletaria, c’era il seme della nostra catastrofe. Una nazione di proletari, armati di 8 milioni di baionette, contro i carri armati delle potenze plutocratiche e anche contro quelli dei russi. Stalin era riuscito a trasformare un Paese di contadini in una potenza industriale. Mussolini era rimasto alla battaglia del grano.
Un giornalista imaginifico e un po’ sbruffone, scaltro come un maestro elementare romagnolo, sperava di lucrare gli avanzi delle conquiste di Hitler, come i cani del Vangelo ai piedi del banchetto del ricco epulone. Anche in questo si è vista la differenza di classe culturale e sociale rispetto agli altri due leader fascisti europei occidentali, Francisco Franco (Spagna), António de Oliveira Salazar (Portogallo).
Hitler aveva aiutato Franco come non aveva aiutato Mussolini. Ma Franco quando Hitler gli chiese di schierarsi rimase neutrale. E sopravvisse a Adolfo e Benito per altri 30 anni.
Fra il 10 giugno 1940 e l’8 settembre 1943 ci sono stati
“più di tre lunghi anni, tra sconfitte al fronte, città bombardate, pane nero, alpini che non tornano dalla Russia e paracadutisti che muoiono a El Alamein”
ha scritto Gianni Oliva, docente e storico. nel suo ultimo libro, appena uscito: “La guerra fascista. Dalla vigilia all’armistizio, l’Italia nel secondo conflitto mondiale”.
Il Fatto quotidiano ne pubblica alcune pagine:
“La guerra fascista 1940-43 è l’epilogo drammatico di una stagione dove la retorica della parola oscura la ragione.
“Ultima arrivata tra le nazioni industrializzate, l’Italia degli “otto milioni di baionette” entra in conflitto contro il mondo, prima Francia e Gran Bretagna, poi anche Unione Sovietica e Stati Uniti.
“La disfatta è implicita nella sproporzione tra le ambizioni imperialiste del regime e le possibilità reali di un Paese che dispone di tante braccia e pochi carri armati, e che per produrre armi deve prima trovare chi gli venda ferro e carbone.
“Alleato con la Germania di Hitler in un rapporto sospettoso, inizialmente di competizione e subito dopo di subalternità, il fascismo ne segue la parabola, sprofondando la nazione e se stesso nella rotta”.