ROMA – Istat dà i numeri: la notizia è più 50mila occupati, il titolo è la stagnazione. Che l’economia va peggio lo ammette anche il ministro Pier Carlo Padoan (temperando l’ottimismo viscerale di Renzi) e cioè che la crescita non raggiunge le aspettative, che la situazione internazionale non aiuta, che l’inflazione resta troppo bassa, che le famiglie aspettano ancora per riprendere a consumare…
Ieri ce lo ha ricordato anche l‘Istat, con un supplemento di allarme ansiogeno e vagamente jettatorio (e in economia il contesto emotivo ha il suo peso): “Si va verso la stagnazione” è il titolo fornito ai quotidiani, ci aspetta ancora la palude su consumi e lavoro, si deve arguire. Peccato che la notizia, cioè il dato numerico nascosto dalla prosa, poteva essere di indiscutibile semplicità: a giugno ci sono stati 50mila occupati in più rispetto a maggio.
Oppure che il tasso di disoccupazione è sceso dal 12,6% di maggio al 12,3% di giugno. E’ una buona notizia, perlomeno un segnale positivo come afferma il ministro del Welfare Giuliano Poletti? Non per l’Istat, secondo la quale è più importante l’affresco, lo scenario futuro, ovviamente a tinte fosche. E lanciandosi magari in confronti impropri (come confrontare le pensioni senza tener conto dei contributi, tipo sommare mele e pere per intenderci).
Cambiano i presidenti, ma l’Istat non ce la fa proprio a limitarsi a guardare indietro, cioè a quello che fino al momento della rilevazione statistica è accaduto e che i numeri si incaricano di registrare in termini economici. Guarda avanti, è lungimirante, fa previsioni, indirizza scelte, fa la lista dei buoni e dei cattivi. In due parole, fa politica.