Istat: uso politico delle statistiche, dalla guerra a Berlusconi a oggi

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ROMA – L’Istat, istituto nazionale di statistica, gioca a fare politica e usando le cifre come clava spesso diffonde panico o sensazioni pericolose.

Su questa strada era stato ben avviato da Enrico Giovannini, quando era presidente dell’Istat ai tempi di Berlusconi: ogni comunicato dell’Istat era un piccolo colpo nella guerra a Berlusconi.
Enrico Giovannini fu poi premiato con la carica di ministro del Lavoro, cosa che ha ben poco a che fare con la statistica e Berlusconi non c’è più, ma l’abitudine è rimasta.

Ne è un esempio brillante questa notizia, riportata dal Secolo XIX di Genova, secondo la quale le pensioni delle donne sono più povere di quelle degli uomini. Un pugno nello stomaco.

“Pensionate più povere dei pensionati maschi: secondo l’Istat, nel 2012 l’importo medio delle pensioni è più basso tra le donne (8.965 euro contro 14.728) e si riflette in un più contenuto redditopensionistico medio, pari a 13.569 euro contro i 19.395 degli uomini. Le donne sono il 52,9% dei beneficiari ma agli uomini va il 56% della spesa.

Nel 2012 sono stati erogati 23.577.983 trattamenti pensionistici: il 56,3% a donne e il 43,7% a uomini. Le donne rappresentano il 52,9% dei pensionati (8,8 milioni su 16,6 milioni), ma percepiscono solo il 44% dei 271 miliardi di euro erogati. L’importo medio annuo delle prestazioni di titolarità femminile è pari a 8.965 euro, il 60,9% di quello delle pensioni di titolarità maschile, che si attesta a 14.728 euro. Dei 626.408 nuovi pensionati del 2012, le donne rappresentano il 52% e percepiscono redditi più bassi (10.953 a fronte dei 17.448 degli uomini).

Il numero di trattamenti percepiti dalle donne – dice Istat – è mediamente superiore a quello degli uomini, di conseguenza il divario economico di genere si riduce al 42,9% se calcolato sul reddito pensionistico (pari a 19.395 euro per gli uomini e a 13.569 per le donne). Tra il 2002 e il 2008, la forbice reddituale tra pensionati e pensionate è aumentata di 2,1 punti percentuali (4,4 punti con riferimento agli importi medi delle singole prestazioni); a partire dal 2008 si è osservata una progressiva riduzione che tuttavia ha mantenuto i livelli di disuguaglianza superiori a quelli del 2004.

Oltre la metà delle donne (52%) percepisce meno di mille euro, contro un terzo (32,2%) degli uomini. Il numero di uomini (178 mila) con un reddito pensionistico mensile pari o superiore a 5.000 euro è cinque volte quello delle donne (33 mila). Le disuguaglianze di generesono più marcate nelle regioni del Nord, sia con riferimento agli importi medi delle singole prestazioni sia in relazione al reddito pensionistico dei beneficiari. Il rapporto tra il numero di pensionati residenti e la popolazione occupata – rapporto di dipendenza – è a svantaggio delle donne: 90,2 pensionate ogni 100 lavoratrici, a fronte di 56,5 uomini ogni 100 lavoratori. Anche il tasso di pensionamento (rapporto tra numero di pensioni e popolazione residente) è superiore tra le donne (43,1%) rispetto agli uomini (35,6%).

E secondo i dati oltre la metà delle donne (52%) percepisce meno di mille euro, contro un terzo (32,2%) degli uomini. Inoltre il numero di uomini (178 mila) con un reddito pensionistico mensile pari o superiore a 5.000 euro è cinque volte quello delle donne (33 mila). Le disuguaglianze di genere – rileva l’istituto – sono più marcate nelle regioni del Nord, sia rispetto agli importi medi delle singole prestazioni sia in relazione al reddito pensionistico dei beneficiari.

È al Nord Italia il maggiore divario di genere nei redditi pensionistici.A sottolinearlo sempre l’Istat che spiega che gli uomini percepiscono importi più elevati delle donne su tutto il territorio nazionale, ma in alcune regioni si registrano diseguaglianze più marcate. LaLiguria è la regione in cui il reddito pensionistico degli uomini presenta lo scarto maggiore rispetto a quello delle donne (è del 53,9% più elevato), seguita da Lazio (52,1% in più), Lombardia (51,8%) e Veneto (51,6%). Le regioni in cui si registrano invece le minori disuguaglianze di genere sono quelle meridionali.

Le differenze più contenute si osservano in Calabria (gli uomini percepiscono redditi pensionistici del 19,9% più elevati rispetto a quelli delle donne), Basilicata (26,7% in più) e Molise (29,4%). La disaggregazione provinciale ripropone evidenze del tutto analoghe a quelle riscontrate a livello regionale. Ad eccezione di Roma, le differenze più marcate caratterizzano nuovamente le province del Nord Italia – Lecco (61,6% in più), Venezia (59,4%), Livorno (58,5%), Monza e della Brianza (57,9%), Genova (57,8%), Bergamo (56,2%), Milano (55,3%), Treviso (54,2%) e Brescia (53,6%) – mentre i valori più contenuti – a conferma di quando già emerso a livello regionale – si registrano nelle province meridionali: Vibo Valentia (13,7% in più), Reggio Calabria (18,4%), Cosenza (20,4%), Ogliastra (21,7%), Nuoro (22,3%), Benevento (22,8%), Catanzaro (22,9%), Potenza (23,9%), Agrigento (24,3%) e Lecce (24,8%)”.

Nessuno si è chiesto se ci sia una relazione tra pensioni e anni di lavoro e quindi versamenti, come pure fra pensioni e stipendi corrispondenti a diversi impegno e responsabilità. L’importante è il botto, per avere un titolo sui giornali.
Il dubbio che qualcosa non quadri non sfiora gli statistici, perché i tecnici, quando fa loro comodo, non possono discernere, il Numero è una entità superiore.
Forse una spiegazione potrebbe venire proprio dall’esame della differenza tra le differenze di pensioni a nord e a sud. Probabilmente al Nord le pensioni sono tutte frutto di lavoro, non hanno contenuto “sociale” o assistenziale, e le differenze nelle pensioni corrispondono a quelle di retribuzione. Potrà essere contestata la differenza all’origine, quella retributiva, che però non può dipendere da discriminazioni nel lavoro: a parità di ruolo corrisponde parità di retribuzione.
Fa però parte della realtà che gli uomini abbiano nella media posti più importanti o anche solo più duri e meglio pagati e che spesso questo dipenda dalle scelte di vita delle donne, non solo che alle donne sono assegnate mansioni meno qualificate.
Al sud, dove il peso del welfare è rilevante, mansioni, ruoli, anni di lavoro contano meno, tutto è più appiattito nella dimensione assistenziali delle pensioni

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