Italia, debito pubblico azzera risparmi, tedeschi oppressori, Salvini bullo ce la farà?

Italia, debito pubblico azzera risparmi, tedeschi oppressori, Salvini bullo ce la farà? (foto Ansa)
Italia, debito pubblico azzera risparmi, tedeschi oppressori, Salvini bullo ce la farà? (foto Ansa)

ROMA – I conti dell’Italia non sono il disastro che la propaganda filo tedesca proclama. Il saldo fra entrate e uscite è positivo. A prescindere dall’impatto del demenziale reddito di cittadinanza, purtroppo pesa il macigno dei debiti, che lo Stato è costretto a rifinanziare. E il debito sale sempre di più con gli interessi che si accumulano.

C’è un documento ufficiale, on line: è il Bilancio semplificato dello Stato italiano. Vediamo i conti per il 2019. Si tratta di previsioni pre follie grilline, ma la follia del reddito di cittadinanza non è tanto nel suo peso economico quanto nel devastante effetto rievocativo del “panem” di antica italiana tradizione (ai circenses provvedono ampiamente Rai, Mediaset, Sky, Netflix ecc.)

I numeri sono a pag. 13, Tavola 1.1. Per il 2019 sono previste, nel conto di competenza, cioè delle entrate e delle uscite attribuibili a quest’anno, entrate a vario titolo, imposte e tasse soprattutto per 597 miliardi di euro, spese correnti per 497 miliardi. Anche considerando i 48 miliardi previsti per spese in conto capitale (investimenti), resta un avanzo positivo. Poi però ci sono 77 miliardi di interessi da pagare. Fate un po’ di aritmetica: 597- 497- 48 = 52. 52 – 77 = -25. Sono tanti soldi, ma rappresentano il 4% delle entrate.

Non sono un grande esperto di finanza pubblica ma mi pare una cifra gestibile. Se pensate che l’Italia versa all’Ue a vario titolo 19 miliardi di euro. Alla voce Immigrazione, accoglienza e garanzia dei diritti figurano più di 3 miliardi e mezzo. Per l’Italia in Europa e nel mondo sono più di 24 miliardi.

Per non parlare di quell’Okawango dei contributi statali e regionali e comunali a premi letterari, giornalistici, culturali, brutti film senza speranza. Chi va al cinema non può essere colpito dai contributi regionali a praticamente tutti i film che si producono in Italia. Zingaretti è il nuovo Mecenate. Mi ha colpito la polemica in Friuli, qualche mese fa, per un premio giornalistico alla memoria di un certamente grande giornalista italiano ancorché vissuto all’estero: 350 mila euro. E il premio Ischia dove lo mettete?

Non ho idea di quanto costi ma della sua inutilità sono certo. Ho un ricordo da film di Bunuel, un sabato d’estate di qualche anno fa. Un corteo di cupi signori in abito scuro, camicia e cravatta, in mezzo a bagnanti e turisti, guidati da un allora gran commis del Quirinale. Sembrava un funerale, a celebrare l’ovvio trionfo di qualche giornalista amico loro. Tutti ospiti, penso a spese nostre, di qualche grande albergo dell’isola. Facessero una seria spending review, sai quanti milioni o miliardi si risparmierebbero.

Ma la spending review è stata sempre una presa in giro mai realizzata. Per non parlare di una seria revisione di tutti gli accordi sindacali che hanno concesso ai dipendenti comunali condizioni e regole di lavoro che farebbero fallire qualsiasi azienda che stia sul mercato. E che dire degli acquisti? L’idea di comprare in Israele autobus usati che manco possono circolare come la vedete?

C’è un pm in Italia che non si occupi solo di abusi d’ufficio e note spese? Detto tutto, poi però vengono due elementi che complicano le cose: i debiti da rimborsare e la gestione della cassa. Il debito pubblico italiano viaggia verso i 2.400 miliardi di euro. C’era stato un accenno di calo con Gentiloni, ma poi sono arrivati i grillini e lo spread ha fatto il suo corso. L’80% per cento del debito è in mano a banche e operatori italiani (50 su 80) e internazionali. Gli interessi che lo Stato italiano ogni anno e in misura crescente, paga a costoro, in tutto 77 miliardi, per una sessantina di miliardi restano in Italia.

Forse anche per questo enorme flusso di denaro le banche italiane sono così prospere. Resta il fatto che il povero Stato italiano nel giro di ogni 12 mesi deve rimborsare ai suoi creditori italiani e internazionali qualcosa come 240 miliardi di euro. Lo fa ricorrendo al mercato dei capitali, sotto forma di titoli di debito pubblico. Ecco perché lo spread pesa tanto: è la misura che lo strozzino applica al credito concesso al disperato. Secondo il conto di competenza si dovrebbero cercare sul mercato 265 miliardi.

In realtà il fabbisogno è molto più alto se si considera il conto di cassa, cioè i soldi che girano non come dovrebbe essere ma come effettivamente è. Un po’ come nella nostra vita individuale: le uscite sono certe, anche se cerchi di giostrartici, gli incassi non sempre rispettano le aspettative. La nuova aritmetica diventa: entrate 555 miliardi – uscite 505 = 50 investimenti 45 porta a saldo 5 tolti gli Interessi per 77 miliardi, il buco è di 72 miliardi anziché 25.

A tali valori si devono poi aggiungere 240 miliardi di euro da rimborsare per i debiti venuti a scadenza. Ogni anno lo Stato finisce per dover trovare 313 miliardi. Ogni volta un po’ di più. Ecco perché siamo nelle mani delle banche, dei tedeschi e andrà sempre peggio. I benpensanti sotto sotto continuano a pensare a una patrimoniale. Le case degli italiani sono il primo obiettivo di preda, ma una nuova patrimoniale sulla casa, dopo Imu e affini, potrebbe innescare una rivoluzione. Ma ci sono anche i risparmi. Gli italiani sono formichine.

Da tempo di parla di una bella sforbiciata ai conti correnti. Basterebbe un semplice esercizio contabile, se i nostri governanti avessero credibilità e quid. Non è una novità. Ne scrisse, nel 2012, proprio su Blitz, Gustavo Piga: 

“Una cosa è avere un debito pubblico alto sul PIL in un Paese con scarsa accumulazione di risparmio e dunque di ricchezza, una cosa è avere lo stesso debito PIL con un paese che ha invece un forte risparmio e ricchezza privata”. A monte c’era l’idea che “i Paesi con una ricchezza finanziaria netta delle famiglie in percentuale del Pil superiore alla media dell’Eurozona, dovrebbero poter dedurre fino a 25 punti di Pil di tale ricchezza eccedente dall’ammontare del debito pubblico che va ridotto”. Tradotto: i Paesi europei più ricchi a livello privato “sarebbero obbligati a diminuire il proprio debito pubblico di un ammontare inferiore a quello attualmente previsto: l’Italia dell’1,7% (anziché del 2,9%)”.

Il primo a portare avanti queste idee fu Tremonti, si illuse di avere convinto i tedeschi che invece lo spernacchiarono.  Ci riprovò Monti, con uguale risultato. Invece di far saltare il tavolo, si genuflesse, come Tremonti. Per questo non penso che Salvini abbia tanto torto. Purtroppo mi sembra che sia un po’ tanto un duro da bar, del genere tenetemi se no lo picchio, purtroppo incapace di sviluppare una politica coerente e conseguente.

Per carità, rispetto ai fallimenti da Berlusconi a Renzi, passato alla storia per avere imposto Carlo Calenda come rappresentante diplomatico in Europa. Non ho una grande opinione dell’apparato diplomatico italiano, ma nella scelta non c’era visione, non c’era strategia. Almeno Salvini alza la voce e pone il problema. Purtroppo il modo bullesco in cui lo fa, se da un lato gli porta voti, tanti tanti, dall’altro fornisce combustibile alla stupida e sterile polemica a base di sovranismo, neo fascismo eccetera eccetera.

Forse meriterebbe qualche attimo di riflessione in più, da parte della sinistra, essendo impossibile e anche controproducente fare conto sulle metriche grilline. Se ci si pensa un po’, ci si rende conto, alla luce dei numeri e dei concetti esposti sopra, che la polemica contro l’Italia, sa di accanimento terapeutico. E anche di grave ingiustizia, visto il diverso atteggiamento dell’Europa nei confronti del debito francese.

Purtroppo comandano il gioco i tedeschi e le banche tedesche. Non dispongo di dettagli, ma devo pensare che una bella fetta del terzo di interessi, 25 miliardi all’anno, che vanno agli investitori internazionali nel debito pubblico italiano, finiscano nelle banche in Germania. I tedeschi sono quello che sono da sempre. Mia madre diceva che hanno il chiodo in testa (memoria dei loro elmetti nella prima guerra mondiale), le repressioni anti italiane della Wehrmacht (non solo le SS) sono parte dei riti repubblicani. Siamo stati loro soggetti per secoli. Barbarossa non morì a Legnano ma per un mal di pancia in Terra Santa. Enrico a Canossa fu umiliato non da un re italiano ma da un Papa, che dell’Italia unita fu sempre nemico.

Gregorio VII faceva di nome Ildebrando, nato in Toscana ma di sangue tedesco. Oggi per fortuna di tutti noi, i tedeschi non si affidano alle baionette per imporsi in Europa ma alla finanza e al Fiscal compact. 

Sono i più ricchi. Lo erano già nel 1945. Mentre il mondo contemplava le loro macerie, facevano affari con Stalin sotto il naso degli americani. Nella recessione post bolla internet e Torri gemelle i tedeschi, a partire dal 2003, si sottoposero a una rigorosa cura, che costò le elezioni ai socialdemocratici di Schroeder. In Italia in quel periodo imperava Berlusconi. Rigore di gestione è concetto incompatibile con vendere sogni. E a Berlusconi premeva solo di stare al governo per proteggere le sue televisioni.

Quando si arrese, otto anni dopo, era troppo tardi. Forse Berlusconi non se ne accorse nemmeno. A risanare i conti italiani lavorava Tremonti. Stranamente, nessuno, tranne un flash dell’Unione europea, glielo ha riconosciuto e nemmeno Tremonti se ne è mai fatto un grande merito. Troppo impegnato forse a fare bella figura con i tedeschi, forse col miraggio di accreditarsi come successore di Berlusconi. Invece le forze imponderabili che reggono le sorti del mondo favorirono Mario Monti, con i risultati che ancora oggi paghiamo: economia scassata, Beppe Grillo alle stelle. Probabilmente anche Monti sperava in qualche laticlavio europeo a tessitura tedesca.

Ma i suoi fan trascurarono il fatto che gli americani non gli hanno mai perdonato lo sfacelo provocato da Monti commissario europeo ai danni di Microsoft. Probabilmente anche i tedeschi, dopo averne gradito la sottomissione, non si sono fidati della sua forse eccessiva auto-referenzialità.

Ormai il danno era fatto. Il fiscal compact era legge, anzi Costituzione. Tremonti ha passato il testimone a Monti, mentre Berlusconi, fra cene eleganti, inchieste giudiziarie e interessi personali, stava e restava girato dall’altra parte. E la sinistra, a guida D’Alema-Bersani, faceva sì come quei cagnetti che si vedono nel retro di certe automobili. La Lega votò a favore della firma, votò contro l’inserimento in Costituzione. Il Fiscal compact è la catena che ci siamo messi al collo da soli. Una follia, un suicidio. Forse i tedeschi vogliono far dimenticare ai debitori di oggi i favori che ebbero, nel dopoguerra, quando i loro debiti furono tagliati, nel 1953, del 60%.

E ora? Tagliare le spese si può, come ho sostenuto un po’ di righe fa. Purtroppo nessun governo, come abbiamo visto, nemmeno il più apparentemente feroce, se la sente di tagliare con intelligenza e giustizia spese che vogliono dire voti e potere. Meglio quelli che chiamano tagli lineari. Non implicano scelte e non portano a confronti. Sono politicamente più gestibili. I rischi sono evidenti e altissimi per una economia come quella italiana, già soffocata da 20 anni di compromesso storico, sempre più avvitata in un loop di stampo post sovietico.

Nessuna delle forze che ha amministrato l’Italia negli ultimi 20 anni è stata all’altezza del compito. Il Movimento 5 stelle conferma le sue promesse: è il partito del nuovo medio evo. La Lega ha ben amministrato al Nord e anche la prova fornita a Genova conferma l’impressione che ho avuto nel tempo, fin da quando Maroni era ministro del Lavoro e ho potuto misurarlo con i suoi omologhi della sinistra.

Purtroppo, ben amministrare regioni che per mille anni sono state fra le più prospere e ben amministrate del mondo è una cosa, altra cosa è rimettere in moto una economia imbrigliata da leggi stupide e punitive, che certo l’Unione Sovietica non subì, soffocata da politiche sbagliate del lavoro, redistribuzione di risorse verso lo Stato, verso il Meridione, verso legioni di poveri che poveri probabilmente non sono tutti. Non lo si fa con Twitter o con Facebook. E nemmeno con i mini bot e le furbate da commercialisti.

Ci sono da recuperare oltre mezzo secolo di politica europea sbagliata e rinunciataria, di politica industriale avvolta di ideologia nel Sud, di demolizione sistematica e altrettanto avvolta di ideologia della grande industria del Nord. Fossi giovane, non mi sentirei tanto a mio agio. La decrescita felice porta a miseria, malattie, subordinazione, aggravamento delle differenze di classe. A chi dovrete dire grazie? La lista è lunga…

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