Italia in confusione mentale. Destra e sinistra unite hanno fatto un bel pasticcio: hanno insinuato nella mente di un bel po’ di italiani il dubbio che una volta si stava meglio.
E che oggi viviamo un periodo di regressione materiale e di sbando morale.
Siamo ricchi o benestanti.
Volete un parametro decisivo? La durata della vita media.
età media di morte 54 anni nel 1881, quasi 60 nel 1891, 62,46 nel 1901 (i miei due nonni sono morti, a cavallo fra XIX e XX secolo, entrambi prima dei 60 anni), fino ai 71,11 del 1951. Oggi, la speranza di vita per un bambino che nasce in Italia è di 78,67 anni, mentre una bambina può sperare in 84,04 anni da vivere (dati Istat 2007).
Dopo la guerra nove italiani su dieci eravamo poveri. Ora l’Istat (che spesso usa la statistica per fare politica) ci dice che i poveri sono uno su dieci.
Quelli della sinistra, invece di attribuirsi il merito di almeno una parte di tale successo, abbracciano il dettato evangelico concepito duemila anni fa, quando i poveri erano 99 su 100: di loro parlano, di loro si occupano, in concorrenza con i grillini, partito del reddito di cittadinanza, precipitato dal 3o all’1 per cento dei voti quando è stato chiaro che la pacchia stava finendo.
La destra esalta il ventennio fascista come una specie di età dell’oro, in cui i treni arrivavano in orario e la lira valeva più della sterlina. Una specie di versione fascistoide della decrescita felice. Mussolini la definiva Italia proletaria e fascista. Essendo romagnolo diceva fasista, il che alleggeriva e ridicolizzava il concetto ma il significato era una nazione di incapaci. Più di metà degli italiani facevano i contadini. E civilità contadina, con buona pace, vuole dire miseria, poverta, violenza della natura e degli uomini. Si dimenticano i morti per manganellate e olio di ricino, morti della guerra e dispersi in Ucraina.
E che oggi viviamo un periodo di regressione materiale e di sbando morale.
Siamo ricchi o benestanti.
Volete un parametro decisivo? La durata della vita media.
età media di morte 54 anni nel 1881, quasi 60 nel 1891, 62,46 nel 1901 (i miei due nonni sono morti, a cavallo fra XIX e XX secolo, entrambi prima dei 60 anni), fino ai 71,11 del 1951. Oggi, la speranza di vita per un bambino che nasce in Italia è di 78,67 anni, mentre una bambina può sperare in 84,04 anni da vivere (dati Istat 2007).
Dopo la guerra nove italiani su dieci eravamo poveri. Ora l’Istat (che spesso usa la statistica per fare politica) ci dice che i poveri sono uno su dieci.
Quelli della sinistra, invece di attribuirsi il merito di almeno una parte di tale successo, abbracciano il dettato evangelico concepito duemila anni fa, quando i poveri erano 99 su 100: di loro parlano, di loro si occupano, in concorrenza con i grillini, partito del reddito di cittadinanza, precipitato dal 3o all’1 per cento dei voti quando è stato chiaro che la pacchia stava finendo.
La destra esalta il ventennio fascista come una specie di età dell’oro, in cui i treni arrivavano in orario e la lira valeva più della sterlina. Una specie di versione fascistoide della decrescita felice. Mussolini la definiva Italia proletaria e fascista. Essendo romagnolo diceva fasista, il che alleggeriva e ridicolizzava il concetto ma il significato era una nazione di incapaci. Più di metà degli italiani facevano i contadini. E civilità contadina, con buona pace, vuole dire miseria, poverta, violenza della natura e degli uomini. Si dimenticano i morti per manganellate e olio di ricino, morti della guerra e dispersi in Ucraina.
La sinistra, dopo avere ottenuto i massimi benefici per tutti noi negli anni ‘70 e ‘80 (togliendo al terrorismo l’acqua in cui nuotare) ha imboccato la strada pericolosa di rinnegare lavoro successo benessere (atteggiamento dei figli dei ricchi quale è l’establishment del Pd) e di concentrare la sua attenzione su minoranze di ogni tipo e qualità allontanandosi così dai bisogni della maggioranza degli italiani.
Non è una novità. La storia dei treni e della lira è nell’armamentario della propaganda neo fascista da sempre. La sentivo che ero adolescente. Sentire 60 anni dopo una domanda come questa: è vero che sotto il Fascismo si viveva meglio? fa cadere le braccia.
Peggio mi sento quando la domanda viene posta da un uomo di 42 anni, dirigente di banca.
Mi dice: lei c’era negli anni del piano Marshall e del Boom. Confermo. E poi: ma è vero che si stava meglio una volta?
Sbotto e replico. Ma non scherziamo, lei non sa di cosa parla. E siedo sgomento, pensando agli effetti nefasti di 70 anni di propaganda tanto nostalgica di un passato riservato ai pochi quanto stupida.
Non siamo stati mai così bene come oggi. E così ricchi. Su tutti i piani.
Su quello politico. La libertà di parola e di comportamento quasi assoluta di cui si gode oggi non ha riscontro mai.
La parità politica fra uomini e donne, in atto da noi dal 1946, è ben più importante di quelle vergognose quote rosa che tanto appassionano i nostri politici.
E la fine della monarchia, retaggio di un medio evo in cui la maggior parte di voi eravate servi della gleba, non principi e contesse, è stata un salto non solo nella seppur relativa libertà ma soprattutto la premessa per un grande balzo in avanti che qualcuno persino considera con disgusto ma che a me fa pensare a quella scena in cui Luciano Salce ostenta il Menifesto in cui nasconde Playmen.
Ma anche l’idea che puoi dire quello che pensi senza rischiare il carcere (Galileo) o il rogo (Giordano Bruno) è un privilegio dei nostri giorni a fronte di migliaia di anni di oppressione.
Certo Mussolini fu meno feroce di Hitler e Stalin, ma l’idea che se dicevi qualcosa di sgradito all’Ovra finivi a Lipari o Ventotene (sempre meglio di un gulag in Siberia) non può piacere a nessuno, nemmeno a un camerata. In Russia c’era il plotone d’esecuzione, in Italia una località oggi meta di grande turismo ma il rischio c’era per gli antifascisti come per i fascisti, come con Stalin era per i suoi compagni.
Lasciamo la politica e passiamo alla vita di tutti i giorni.
Sul piano materiale non esistono confronti col passato. Il divario è troppo grande. Questo vale per l’Italia come per il resto del mondo.
Nello specifico italiano, la disponibilità gratuita di medicine moltiplica per 60 milioni quanti siamo l’effetto dei progressi della medicina e della farmacia. L’industria ci guadagna? I profitti sono spaziali? Meglio morti?
L’igiene, la sanità, l’alimentazione.
Ci laviamo tutti i giorni. Ai bei tempi era una volta alla settimana, in bagno per i ricchi, avendo riempito la vasca con l’acqua scaldata nei pentoloni in cucina. Come si vede nei film western.
Saponi, saponette, shampi, creme: una volta era un po’ di talco per assorbire il sudore coprire l’afrore.
Il Re Sole si lavava tanto poco che l’amante in carica lo sfotteva inorridita. Così si inondava di profumo.
La poca igiene fu una causa importante di morte per secoli e millenni e certo anche elemento fondamentale per la diffusione di peste e varie epidemie.
Non parliamo dei gabinetti. Non
Rinuncio a ricordare Boccaccio e il suo Andreuccio da Perugia.
Ma ancora negli anni ‘60 a Tortona, l’antica Dertona, nobile e ricca città contesa fra Genova e Alessandria, i gabinetti erano, comuni a ogni piano, quelli alla turca: un buco in una lastra di ardesia…e tutto giù nei sotterranei. E ancora negli anni ‘80, nel centro di Torino, una palazzina costruita per scommessa dal grande architetto Alessandro Antonelli su un campo da bocce offriva per il sollievo delle chiamate della natura, un cesso alla turca per ogni piano.
Non è merito di questo o quel partito. È così in tutto il mondo. A Londra negli anni ‘70, i favolosi anni dei Beatles e dei figli dei fiori, in una lussuosa palazzina di Chelsea, un bagno bastava per 7 appartamenti e il riscaldamento funzionava con le monetine.
Pensiamo all’Italia. La prima volta che andai a New York, nel 1968, il barbiere emigrato dai monti dietro Roma mi chiese se in Italia c’era finalmente la luce elettrica.
Oggi quattro quinti di quei paesani vive a Roma, case con acqua corrente calda e fredda, termocentrale e forse anche aria condizionata.
Molti di loro, quando ancora vivevano al paese, la facevano nella stalla, unico locale igienico.
Con il denaro accumulato lavorando in città ( stipendio fisso anche se modesto) per 13 mesi, malattia pagata, un mese di ferie pagate (il nonno contadino nel camposanto strabilia) si sono fatti una casetta nuova, con tutti i comfort.
La costruzione è tanto orribile quanto le vecchie case sono belle e eleganti.
Ma questo è l’aspetto negativo del progresso in Italia, assurdo in un Paese soffocato da vincoli e divieti come il nostro.
Una volta sono arrivato a Parma in aereo. Vista dall’alto la città sembra un gioiello avvolto in un pacco di carta igienica usata. Sulla bruttezza dell’Italia post bellica convengo. Per il resto, come diceva Saragat, viva l’Italia, viva la Repubblica.
Peggio mi sento quando la domanda viene posta da un uomo di 42 anni, dirigente di banca.
Mi dice: lei c’era negli anni del piano Marshall e del Boom. Confermo. E poi: ma è vero che si stava meglio una volta?
Sbotto e replico. Ma non scherziamo, lei non sa di cosa parla. E siedo sgomento, pensando agli effetti nefasti di 70 anni di propaganda tanto nostalgica di un passato riservato ai pochi quanto stupida.
Non siamo stati mai così bene come oggi. E così ricchi. Su tutti i piani.
Su quello politico. La libertà di parola e di comportamento quasi assoluta di cui si gode oggi non ha riscontro mai.
La parità politica fra uomini e donne, in atto da noi dal 1946, è ben più importante di quelle vergognose quote rosa che tanto appassionano i nostri politici.
E la fine della monarchia, retaggio di un medio evo in cui la maggior parte di voi eravate servi della gleba, non principi e contesse, è stata un salto non solo nella seppur relativa libertà ma soprattutto la premessa per un grande balzo in avanti che qualcuno persino considera con disgusto ma che a me fa pensare a quella scena in cui Luciano Salce ostenta il Menifesto in cui nasconde Playmen.
Ma anche l’idea che puoi dire quello che pensi senza rischiare il carcere (Galileo) o il rogo (Giordano Bruno) è un privilegio dei nostri giorni a fronte di migliaia di anni di oppressione.
Certo Mussolini fu meno feroce di Hitler e Stalin, ma l’idea che se dicevi qualcosa di sgradito all’Ovra finivi a Lipari o Ventotene (sempre meglio di un gulag in Siberia) non può piacere a nessuno, nemmeno a un camerata. In Russia c’era il plotone d’esecuzione, in Italia una località oggi meta di grande turismo ma il rischio c’era per gli antifascisti come per i fascisti, come con Stalin era per i suoi compagni.
Lasciamo la politica e passiamo alla vita di tutti i giorni.
Sul piano materiale non esistono confronti col passato. Il divario è troppo grande. Questo vale per l’Italia come per il resto del mondo.
Nello specifico italiano, la disponibilità gratuita di medicine moltiplica per 60 milioni quanti siamo l’effetto dei progressi della medicina e della farmacia. L’industria ci guadagna? I profitti sono spaziali? Meglio morti?
L’igiene, la sanità, l’alimentazione.
Ci laviamo tutti i giorni. Ai bei tempi era una volta alla settimana, in bagno per i ricchi, avendo riempito la vasca con l’acqua scaldata nei pentoloni in cucina. Come si vede nei film western.
Saponi, saponette, shampi, creme: una volta era un po’ di talco per assorbire il sudore coprire l’afrore.
Il Re Sole si lavava tanto poco che l’amante in carica lo sfotteva inorridita. Così si inondava di profumo.
La poca igiene fu una causa importante di morte per secoli e millenni e certo anche elemento fondamentale per la diffusione di peste e varie epidemie.
Non parliamo dei gabinetti. Non
Rinuncio a ricordare Boccaccio e il suo Andreuccio da Perugia.
Ma ancora negli anni ‘60 a Tortona, l’antica Dertona, nobile e ricca città contesa fra Genova e Alessandria, i gabinetti erano, comuni a ogni piano, quelli alla turca: un buco in una lastra di ardesia…e tutto giù nei sotterranei. E ancora negli anni ‘80, nel centro di Torino, una palazzina costruita per scommessa dal grande architetto Alessandro Antonelli su un campo da bocce offriva per il sollievo delle chiamate della natura, un cesso alla turca per ogni piano.
Non è merito di questo o quel partito. È così in tutto il mondo. A Londra negli anni ‘70, i favolosi anni dei Beatles e dei figli dei fiori, in una lussuosa palazzina di Chelsea, un bagno bastava per 7 appartamenti e il riscaldamento funzionava con le monetine.
Pensiamo all’Italia. La prima volta che andai a New York, nel 1968, il barbiere emigrato dai monti dietro Roma mi chiese se in Italia c’era finalmente la luce elettrica.
Oggi quattro quinti di quei paesani vive a Roma, case con acqua corrente calda e fredda, termocentrale e forse anche aria condizionata.
Molti di loro, quando ancora vivevano al paese, la facevano nella stalla, unico locale igienico.
Con il denaro accumulato lavorando in città ( stipendio fisso anche se modesto) per 13 mesi, malattia pagata, un mese di ferie pagate (il nonno contadino nel camposanto strabilia) si sono fatti una casetta nuova, con tutti i comfort.
La costruzione è tanto orribile quanto le vecchie case sono belle e eleganti.
Ma questo è l’aspetto negativo del progresso in Italia, assurdo in un Paese soffocato da vincoli e divieti come il nostro.
Una volta sono arrivato a Parma in aereo. Vista dall’alto la città sembra un gioiello avvolto in un pacco di carta igienica usata. Sulla bruttezza dell’Italia post bellica convengo. Per il resto, come diceva Saragat, viva l’Italia, viva la Repubblica.