Mario Draghi contro il drago deflazione con la lancia di bond e tassi

Mario Draghi contro il drago deflazione con la lancia di bond e tassi
Mario Draghi contro il drago deflazione con la lancia di bond e tassi

ROMA – Mario Draghi contro il drago della recessione, con l’unica lancia che gli è permessa, il gioco sui bond e sui tassi. Su due giornali due racconti diversi di una lotta titanica da cui dipende il nostro futuro: Repubblica con Federico Fubini, Libero con Ugo Bertone.

“Da appena due settimane – scrive Federico Fubini di Repubblica – la Banca centrale europea si è lanciata in una serie di scelte così radicali che solo pochi anni fa nessuno avrebbe ritenuto possibili. Ha di fatto azzerato gli interessi sui prestiti. Ha iniziato a tassare in modo sostanziale le banche che tengono i propri fondi fermi presso l’Eurotower. Ha annunciato che allargherà il proprio bilancio di mille miliardi di euro, anche comprando prestiti alle imprese e alle famiglie per renderli più facili”.

Scrive Federica Fubini:

Due settimane dopo, è come se non fosse successo nulla. Forse meno che nulla, dato che gli investitori di tutto il mondo hanno ripreso a prepararsi per uno scenario di deflazione in Europa più alacremente di prima. Fosse così, vorrebbe dire che la ripresa dei consumi e degli investimenti in Italia sta scivolando in là nel tempo e la tenuta del debito pubblico resta sovrastata dalle nubi. Per ora solo un punto è certo: i dati a cui guarda la stessa Bce dicono che la rivoluzione perseguita questo mese da Mario Draghi, il suo presidente, per ora non è bare, stata a cambiare gli stati d’animo. La trasformazione in positivo della psicologia dei cittadini e degli investitori che riuscì a Draghi nel 2012, per il momento, non si sta ripetendo.

È stato lo stesso presidente della Bce meno di un mese fa a offrire un parametro sul quale misurare la situazione e il compito stesso della Bce. Lo ha fatto a Jackson Hole, Wyoming, durante un seminario della Federal Reserve. «Per tutto agosto i mercati finanziari hanno indicato che le aspettative di inflazione mostrano un notevole declino su tutti gli orizzonti – disse Draghi -. Il tasso swap cinque anni su cinque anni è sceso appena sotto il 2%: questa è la misura che noi usiamo di solito per definire l’inflazione di medio periodo». Sono solo poche parole. Ma per un presidente della Bce, si è trattato di un’innovazione tale che da allora anche i profani hanno iniziato a interessarsene. Il cosiddetto swap «cinque anni su cinque anni» esprime l’inflazione che il mercato si aspetta fra cinque anni di prevedere fra altri cinque. È una sintesi delle attese sull’andamento dei prezzi sull’arco di un decennio, che in realtà rivela in primo luogo gli stati d’animo del momento. Draghi in Wyoming rivelò che questo è il termometro con il quale egli stesso misura il rischio che l’inflazione scenda troppo, e concluse che ciò era esattamente ciò che stava accadendo. «Il rischio di non agire – dichiarò – è superiore al rischio di agire».
La parola del banchiere italiano è fra le più pesanti al mondo e, non appena Draghi la pronunciò, subito il tasso swap «cinque anni su cinque anni» invertì la rotta. Smise di scende- iniziò a salire. Come mostra il grafico in questa pagina quell’indicatore continuò a puntare nella direzione desiderata – verso l’alto – anche quando il 4 settembre la Bce passò ai fatti con misure sempre più audaci. Ora però la novità è che questa ripresa psicologica non è durata. Sono passate appena due settimane dalla svolta che a Draghi è costata molti attacchi personali in Germania, e le aspettative di inflazione hanno già ricominciato a puntare in basso. Negli ultimi giorni sono scivolate persino sotto al punto al quale erano quando Draghi denunciò la loro caduta al seminario della Fed. La Bce ha indicato al pubblico un termometro preciso, ha somministrato la medicina, eppure ora il termometro non dà la temperatura desiderata.
Probabile che sarebbe stato anche peggio, se Draghi non avesse fatto niente. Ma se il banchiere centrale crede ai suoi stessi strumenti, non è lontano il momento in cui dovrà chiedersi quando è il caso di fare di più. Del resto la barriera dell’impensabile, a Francoforte, è già infranta da un pezzo.

 

“Non ha usato mezzi termini il sito del Financial Times – scrive Ugo Bertone – per giudicare a caldo l’esito della prima asta Tltro, cioè i prestiti della Bce alle banche perché finanzino l’economia reale dell’Eurozona a secco di capitali. I numeri sono impietosi: a fronte di una previsione di 133 miliardi, nel sono stati richiesti 82,6.

Su 382 istituti europei che avevano diritto a partecipare alla distribuzione dei fondi, ben 127 sono rimasti alla finestra. Le banche italiane, per la verità, sono state le più attive, avanzando richieste per 23 miliardi. In particolare Unicredit ha avanzato richieste per 7,7 miliardi, seguita da Intesa (4 miliardi), Mps (3 miliardi) e da Iccrea (2,24 miliardi per conto di 190 banche cooperative). Si sono fatti avanti anche Bper (2 miliardi), Banco Popolare e Credito Valtellinese (1 miliardo a testa), Credem e Carige (attorno a 750 milioni), più Mediobanca (570 milioni). Un elenco che potrebbe salire e non di poco con la prossima offerta di dicembre. Ma anche così il risultato è inferiore alle attese. Alla vigilia il ministro Pier Carlo Padoan aveva, infatti, definito credibile una richiesta di 37 miliardi. Di questo passo, se il flop si ripeterà a dicembre e nelle successive sei operazioni previste da Francoforte, andranno deluse le speranze del governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco che da questi prestiti si aspetta, di qui al 2016, 200 miliardi da mettere a disposizione delle imprese con un contributo al Pil di almeno un punto percentuale, ovvero una preziosa boccata d’ossigeno anti-recessione. Ancora una volta, come capita ormai troppo spesso, le previsioni e le speranze dei tecnici si sono rivelate troppo ottimistiche. Senza dimenticare poi che una fetta molto consistente dei nuovi prestiti servirà a ripagare nel prossimo febbraio i debiti con Francoforte legati al primo Ltro. Ma perché? Per quale motivo le banche sono così restie ad attingere a prestiti allo 0,05% per la durata di quattro anni? La risposta più convincente arriva da Paolo Guida, vicepresidente dell’Aiaf, l’associazione degli analisti finanziari: «Il problema – dice – sta, soprattutto in Italia, più nella domanda che nell’offerta di credito. Le condizioni dell’economia, infatti, non giustificano investimenti da parte delle imprese o l’ulteriore indebitamento delle famiglie». Insomma, il sistema sembra ormai precipitato nella trappola della liquidità descritta da Keynes: non si prendono a prestito quattrini oggi perché, di fronte al crollo dei prezzi, le cose costeranno di meno domani. Ovvero, come recita il proverbio, si può portare il cavallo in riva al fiume ma non lo può costringere a bere. E i cavalli, ovvero le aziende tricolori, sono davvero stremati. Inoltre, a frenare il credito non è tanto la mancanza di liquidità bensì la combinazione tra i vincoli patrimoniali imposti dall’Aqr e il rischio legato agli impieghi. In questa situazione la Bce paga il prezzo per essersi mossa con eccessivo ritardo. I prestiti Tltro avrebbero avuto ben altro effetto se messi in pratica prima che la situazione si deteriorasse in maniera così tragica. Ma Draghi ha dovuto (e deve) affrontare l’opposizione irriducibile dei falchi tedeschi che si ostinano ad invocare nuova austerità, con il pretesto che ogni allentamento della stretta sia usato come pretesto per non fare le riforme. In questa cornice, però, la relativa sconfitta subìta ieri dalla strategia di Draghi può tradursi in un’occasione di riscossa. Il flop dimostra soprattutto che i mali dell’Europa sono così gravi che non si possono curare con l’aspirina dei Tltro. Ci vuole una terapia più forte: senz’altro è necessario che la Bce possa procedere presto all’acquisto degli Abs (Asset backed securities), ovvero prodotti in cui le banche potranno impacchettare prestiti poco redditizi o comunque “scomodi” come ha potuto fare la Federal Reserve, rivitalizzando il mercato del credito per l’acquisto dell’auto. Ma, soprattutto, super Mario dovrà lanciare il “quantitative easing” europeo, ovvero l’acquisto di titoli di Stato ed azioni in quantità sufficiente per smuovere l’economia. Quanto ci vorrà? Forse non saranno sufficienti nemmeno i mille miliardi di cui ha già parlato Draghi. Ma non è il caso di esitare. Come ha detto lo stesso banchiere romano, di questi tempi «il rischio di non fare è molto più alto di quello di fare».

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