Merito, un brivido agita la sinistra italiana. All’idea del Governo Meloni di ridenominare un ministro che risale a Cavour, la sinistra va in fibrillazione.
Davanti a un inutile e velleitario esercizio di nominalismo (anche Mussolini cambiò il nome in Ministero dell’educazione nazionale al Ministero della Pubblica istruzione guidato in origine nientemeno che da Francesco De Sanctis), si scatena il finimondo. Scende in campo il Papa del sindacato, il capo della Cgil, Maurizio Landini (ma che c’entra? si è chiesto un giornale non di destra). Chilometri di carta preziosa diffondono articoli e commenti. Chiude il dibattito, in modo abbastanza definitivo e da sinistra, Pietro Ichino mandandoli un po’ tutti al diavolo.
Nel frattempo si sono scritte insulsaggini di questo tenore.
“Gli esami, le pagelle, […] i diplomi e diplomini [sono] faccende ambigue, da una parte misurano impegni e risultati, eccellenze addirittura, dall’altra confermano l’appartenenza a una certa classe sociale. La scuola pubblica è importante perché i titoli conseguiti non siano come un certo tipo di televisore o computer, una certa macchina o certe vacanze o abiti. È di sinistra, o dovrebbe esserlo, lavorare perché il merito non sia economico”.
Siamo al linguaggio più puro del ’68.
Così l’articolo 34 della Costituzione ( “I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi”) viene interpretato in questi termini.
“Il merito (che è una misura esterna, quantitativa, e in qualche modo socio-culturale) viene dopo la capacità (che è questione più connessa alla volontà e all’intenzione del singolo individuo). La scuola non è un posto dove essere misurati e messi in graduatoria ma è, prima di tutto, il luogo dove la Repubblica garantisce spazio e tempo per esercitare la curiosità di conoscere il mondo e la possibilità di comprenderlo e parteciparvi”. E poi magari giocando a yo yo come quel giovane cadetto in marcia nel film con Charlton Heston di quasi 70 anni fa.
“Se tu conosci il mondo…”, cantava Peppino di Capri. Se tu conosci il mondo sai che il mondo è competizione e violenza, sopruso e lotta e anche inganno e crudeltà. La classe è la gabbia in cui dall’uomo sapiens sapiens in qua i ricchi e potenti e prepotenti hanno tenuto ferme le masse, migliaia e milioni. Per superare le differenze di classe bisogna essere preparati e culturalmente attrezzati.
Non basta certo l’istruzione, ci vuole anche tanta fortuna. E ci vogliono le condizioni macroeconomiche generali che ci hanno fatto passare da una Nazione di proletari e fascisti a un Paese (Country) che può permettersi di elargire il reddito di cittadinanza a milioni di cittadini e non. Due secoli fa, non so cosa avrebbe fatto la autrice dell’articolo citato, io so per certo che avrei potuto fare il barbiere come mio padre o il pittore di carrozze come mio nonno, forse il fattorino in uno scagno genovese come un altro nonno o il venditore di frutta e verdura come un bisnonno. O il prete, cosa che mio padre rifiutò, certo non il vescovo.
Ho avuto compagni di scuola di varie classi sociali. I figli dei poveri sono diventati rapinatori o papponi, i figli dei ricchi la maturità l’hanno tutti presa, anche se al terzo tentativo. Qualcuno come me ce l’ha fatta, merito dei miei genitori.
Non a caso nei Paesi comunisti l’istruzione scolastica, quella vera, non quella vagheggiata dai sessantottini, era fondametale e condizionante. Niente studio niente lavoro, niente lavoro…meglio non pensarci.
Missione della scuola non è prepararci ad affrontare la vita come una vacanza al mare ma attrezzarci a una dura lotta di sopravvivena e di conquista. Si può capovolgere il destino di classe. Fortuna e capacità sono decisivi. Ma sono convinto che il liceo classico aiuta a formarsi meglio di qualunque altra scuola. Non sono le nozioni apprese ma il metodo sperimentato rompendosi il capo a tradurre il greco e soprattutto il latino.
Non è abbassando il livello della scuola a giardino di infanzia che si aiutato i giovani poveri a vincere la loro lotta di classe, che c’è e ci sarà sempre. Serve un sistema di borse di studio che li metta a pari con i figli dei ricchi. Questa è una delle forze dell’America.
La scuola di una volta prevedeva studi uguali per tutti fino alla quinta elementare, poi venivano i licei (classico e scientifico) e le scuole tecniche, generatrici di generazioni di computisti e poi ragionieri e geometri.
Dopo i primi 5 anni si facevano 2 esami: quello di licenza elementare e, se volevi continuare con la scuola media e il liceo, c’era anche l’esame d’ammissione al livello superiore. Al liceo classico, c’era anche un esame dopo i primi due anni. Oggi non so come sia ma mi pare che l’esame di ammissione non ci sia più. Mamme e riformatori hanno prevalso.
Da quando ho l’età della ragione ho assistito a una serie di riforme della scuola. Il loro risultato è simboleggiato dalla collocazione di Carlo Alberto alla battaglia di San Quintino . Ce lo raccontò in terza liceo, più di mezzo secolo fa, un professore che faceva parte di commissioni esaminatrici per l’idoneità degli insegnanti.
Non è esclusiva italiana, è successo un po’ in tutto il mondo che l’allargamento della base degli studenti del conseguente reclutamento degli insegnanti abbia determinato una complessiva diminuzione del livello scolastico. Con le riforme democratiche, nella scuola comandano le mamme. Peggio mi sento nella scuola privata. Le mamme decidono l’iscrizione. Il cliente ha sempre ragione.
Così abbiamo subito un progressivo calo del livello della scuola italiana. Tante belle teorie pedagogiche ma anche tanti diffusi ignoranti.
La bruciante reazione alla parola merito è un esempio di come la Sinistra sia finita fuori strada. Purtroppo questo è accaduto, sempre, quando l’idea è stata dirottata dall’utopia. Il rifiuto del merito è rifiuto della realtà. Ecco perché hanno perso le elezioni. Così è stato con i laburisti di Corbin, così con i socialisti di Jospin.
La reazione esagerata alla parola merito aggiunta alla etichetta del fu ministero della pubblica istruzione fa cadere le braccia.
In questo destra post fascista e sinistra post comunista sono unite nell’amore per le etichette. La razza non esiste, sentenziano a sinistra, siamo una nazione non un paese proclamano a destra. Questa ultima polemica non è nuova: risale agli anni ’60, quando fu fatto cadere in desuetudine il concetto di nazione, tanto caro ai padri della Patria (parolaccia che piaceva solo a De Gaulle) da Mazzini a Garibaldi a tutti quegli eroi che per la Patria morirono. In nome della quale 600 mila morirono fra Carso, Piave, Tofane, Isonzo e via. Venne in uso Paese di importazione americana: Country, che sta appunto per Patria.
L’iniziativa di aggiungere il Merito, presa non si sa se da Giorgia Meloni o dal neo ministro Valditara o da qualche ideologo post fascista è in sé un po’ patetica.
Contrasta col pragmatismo che sembra pervadere i piani di Meloni. È anche altra cosa dal volersi far chiamare primo ministro e non prima ministra. A me il fatto di voltare al femminile nomi di attività che nei millenni hanno costruito riserva maschile fa sempre pensare a un insulto, come quando a scuola si diceva signora minestra invece che maestra. E così sindaca, avvocata ecc.
I francesi volgevano al femminile gradi militari tipo maresciallo (in maresciallo) ma riferendosi a mogli di tanto illustri mariti.
Ancora non siamo arrivati a soprana invece di soprano e al contrario giornalisto invece che giornalista solo per distrazione, ignoranza o timore del ridicolo. Per non dire di pubblica ministera e giudica o giudichessa.
Primo ministro è maschio, Meloni ha conquistato il ruolo, fa sua anche l’etichetta
Chiudere con le insulsaggini pseudo femministe dell’era Boldrini può paradossalmente fare recuperare qualche voto al Pd.
Oggi la memoria boldriniana è custodita dalla Serracchiani ma è difficile dare credito, tranne Letta, a una che è riuscita a perdere la regione Fvg d’un fiato come uno spritz bevuto dalla destra. E da Elly Schlein.