ROMA – Non è che gli innumerevoli contributi storici sulla figura – e sul culto – di Indro Montanelli seguono con poche eccezioni un copione consolidato, sul tipo “vita del Santo”, per cui vengono seguiti alla lettera le raccomandazioni e gli aggiustamenti di comodo dell’illustre biografato? Prendiamo l’ultimo lavoro del giornalista Salvatore Merlo (scrive sul Foglio) “Fummo giovani soltanto allora” per Mondadori: anche lui, sulla scorta di Paolo Granzotto, conferma che il Nostro divenne Balilla a 13 anni, “prodigiosamente anticipando di 5 anni la nascita di questa istituzione”.
Le virgolette si riferiscono alla recensione su Italia Oggi di Serena Gana Cavallo, acuminata vagliatrice di parecchie inesattezze, certosina collezionista di abbagli più o meno volontari, omissioni, retrodatamenti, quando non veri e propri falsi, che costellano le biografie di Indro Montanelli, ormai diventate un genere a sé. La critica si appunta non necessariamente sulla tendenza del grande giornalista a procurarsi una vita da raccontare come si attende all’edificazione del proprio monumento equestre.
Piuttosto sulla inconscia disponibilità dei frequentatori del culto montanelliano a ricopiare, senza ombra di verifica su documenti più veridici, l’aneddotica che compone l’agiografia. Spesso avvalorando un “Montanelli perso nello spazio/tempo” delle incongruenze storiche per indorarne la biografia. Per dire, il passaggio da fascista orgoglioso (a Parigi) ad anti-fascista precursore non ha mai retto alla prova dei fatti ma continua a restare agli atti.
Naturalmente tutto il libro è percorso dal reiterato fremito di Indro, in precoce ribellione al fascismo e dalla ben nota vicenda del reportage fasullo sulla battaglia di Santander (che nella sua prestigiosa e preziosa prefazione, De Bortoli indica come «la battaglia di Guadalajara») che, narra la leggenda, costò al mitico l’espulsione dal partito fascista e la temporanea cacciata dal giornalismo e dal paese in direzione Finlandia.
Qui l’autore, visto che le cronache vere della battaglia furono ben diverse dalla «passeggiata sotto il sole» della versione Montanelli, con uno slancio eretico arriva a scrivere che tutto sommato è probabile che a Santander Montanelli non ci fosse mai stato. In effetti mai ci fu, come attesta l’elenco dei corrispondenti, come d’uso in tutte le guerre fasciste, medagliati con guerresche motivazioni.
C’è di più, sempre secondo la vulgata canonica, Montanelli per l’irriguardoso (e un po’ falso) articolo, dopo vibrate proteste del generale Bastico che ne invocava l’immediato rientro in patria, fu espulso dal partito, come confermano in coro tutti i «biografi autorizzati», ma come è smentito sia da una nota dell’Ovra, riportata da Gerbi e Liucci (pag.,148, «Lo Stregone») in cui si attesta, nel 1940 che risulta «iscritto al PnF dal 21/4/1932», senza alcuna traccia di espulsioni o ignominiose cacciate dal paradiso, sia da una ricerca condotta sul suo fascicolo militare dal titolo «il “capitano» Montanelli” (Storia in Rete n.47 settembre 2009), in cui si cita la richiesta dell’interessato, appena tornato dalla Spagna, per il rilascio di un documento «comprovante il periodo di servizio quale ufficiale volontario» per l’aggiornamento della sua «cartella personale di fascista», 14 settembre 1937. (Serena Gana Cavallo, Italia Oggi)