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Pensioni. Giuliano Amato le vuole più alte, non lo Stato pagherà, i pensionati

di Marco Benedetto |20 Ottobre 2013 21:34

Giuliano Amato. Sulle pensioni rapina vestita da giustizia sociale

Giuliano Amato continua a sognare un posto al Quirinale, di diventare per 7 anni Presidente della Repubblica. Più che della Repubblica Italiana, Giuliano Amato sembra vedersi al vertice della Repubblica Popolare Italia e per questo, dimenticando la propria pensione, o forse per farsela perdonare, sentenzia su quelle degli altri.

Molte cose che Giuliano Amato dice di sentire sono giuste, perché aiutare i più deboli è una cosa fondamentale in una società moderna. Quel che c’è di perverso nel suo ragionamento è che Giuliano Amato, invece di attribuire alla fiscalità generale l’onere di sostenere i più deboli, lo scarica sugli stessi pensionati, incapsulando in nobili propositi la pillola di una rapina.

Certo ci sono molti pensionati veramente d’oro, che godono di pensioni molto sproporzionate rispetto a quanto hanno pagato: i parlamentari e i parlamentari giornalisti in prima fila. Tuttavia la maggior parte delle pensioni viene da contributi forzosamente versati agli enti previdenziali nel corso di una vita di lavoro.

Appare evidente che accanirsi contro costoro è puro odio sociale. Lo stesso Giuliano Amato, nel suo articolo, riconosce che non serve a nulla, solo sarebbe una cosa giusta. Ma sarebbe cosa allora molto più giusta aumentare le aliquote sulle plusvalenze e sulle rendite finanziarie.

Quella sarebbe giustizia, ma l’odio sociale si nutre di persone fisiche e i pensionati sono un bersaglio attraente.

Offrendo un saggio di peronismo puro dalla prima pagina del Sole 24 Ore, che non è giornale per descamisados ma ospita ogni settimana  i suoi interventi, Giuliano Amato parte dalla sentenza della Corte costituzionale che ha dichiarato illegittimo il contributo di solidarietà sulla pensioni più alte deciso dai Governi Berlusconi e Monti:

“Le pensioni più alte, per quanto siano da molti percepite come un privilegio, non possono essere oggetto di speciali contributi, quando questi servano puramente e semplicemente ad aumentare il gettito fiscale, giacché il principio di eguaglianza in materia fiscale non ammette che quella decurtazione la subiscano loro e non gli altri redditi di pari importo”.

Aumentare le tasse, va anche ricordato, è un esercizio un po’ pericoloso perché la pressione fiscale è già altissima e in Italia serpeggia un clima di rivolta fiscale. Allora Giuliano Amato dà sfogo al veleno:

“Limitiamoci ai trattamenti pensionistici (all’interno del quale matura il sentimento di ingiustizia). Qui c’è, eccome, un grande problema che un contributo di soldarietà non può certo risolvere da solo, ma alla cui soluzione può concorrere senza porre problemi di legittimità. È il problema della strutturale inadeguatezza dei trattamenti pensionistici più bassi, così come essi risultano a seguito delle successive riforme che hanno reso contributiva la stessa previdenza pubblica”.

 

Il punto d’arrivo è: non serve torchiare i più fortunati, ma rendiamoli un po’ meno fortunati così faremo un po’ più felici gli altri”.

Il ragionamento è contorto, partendo dal subbio sulla

“compiutezza di un sistema di previdenza obbligatoria che non abbia in se stesso una componente solidaristica, tale da assicurare un minimo dignitoso a tutti coloro che vi contribuiscono”.

Con questo si chiama fuori lo Stato, che invece deve essere il vero garante della giustizia sociale, come si deduce dalle frasi successive:

“Se non ha una componente del genere, qual è il senso di una previdenza pubblica obbligatoria? Tant’è avere soltanto forme di previdenza privata, alle quali nessuna Costituzione può imporre di andare oltre il principio del mero rendimento di ciò che ciascuno vi ha versato. Mentre l’art. 38 della nostra Costituzione prescrive che siano assicurati ai pensionati «mezzi adeguati alle esigenze di vita» e affida il compito di farlo ad «organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato»”.

Ma non dice con i soldi degli altri pensionati. La logica porta a dire: con i soldi dello Stato”.

Seguono due passi che peggio non si può:

1. “La previdenza pubblica obbligatoria ha questo compito irrinunciabile e non può gettarlo alle ortiche perché è diventata contributiva e magari perché non vuole o non può ricorrere alla fiscalità generale per integrare i trattamenti più bassi”.

Ma questo invece è proprio il caso di ricorrere alla fiscalità generale.

2. “Mentre rendevamo contributiva la previdenza obbligatoria, introducevamo quella complementare, dicendo ai lavoratori che con essa verrà integrata la pensione pubblica ridotta dal nuovo sistema”.

 

Ma questo non con i soldi pubblici, bensì sempre con i soldi dei lavoratori, sfilandoglieli dalle liquidazioni.

Ma questo accadrà per chi ha un reddito che gli permette di accantonare risparmio. Per chi è sotto, la previdenza complementare non c’è”.

Giuliano Amato mette allo scoperto la demagogia peronista quando afferma

“Chi pensasse di arrivare grazie ad esso ad una soglia minima dignitosa per tutte le pensioni contributive sbaglierebbe di grosso. I calcoli (da verificare) di cui dispongo dicono che, tenendo conto dell’altissimo numero di coloro che ricevono e ancor più riceveranno pensioni a volte addirittura inferiori all’assegno sociale, occorrebbero circa sette miliardi per portarli tutti ad almeno settecentocinquanta euro e circa quindici per portarli a mille. Non ci si arriva con il solo contributo di solidarietà. Bisognerebbe pensare allora ad organizzare diversamente l’intero monte contributi, destinando una quota di quelli versati da ciascuno – una quota che può essere crescente al crescere del reddito – ad un fondo comune, che paga le pensioni a tutti i pensionati fino al livello minimo stabilito”.

E qui c’è davvero da avere paura:

“Sarebbe una nuova architettura, ma con fondamenta assai solide tanto nella storia originaria della previdenza, che nacque come mutualità solidale fra i lavoratori, quanto nella stessa Costituzione, che alla mutualità solidale offre espliciti riconoscimenti. Nella cornice della mutualità solidale interna al sistema pensionistico – come accennavo – anche il contributo a carico delle pensioni più alte già riconosciute e in corso di erogazione può trovare le ragioni della sua legittimità. Il massimo di utilità lo conseguirebbe potendo confluire in un fondo come quello che ho prospettato”.

“Ma resta vero in ogni caso che la solidarietà fra pensionati, se si esprime al suo meglio nel riparto dei contributi via via che questi maturano, arriva a giustificare interventi anche sui trattamenti già definiti.

“Specie sui trattamenti erogati in questi anni e risalenti in tutto o in parte al vecchio sistema retributivo, che li portava a livelli ben superiori al rendimento dei contributi versati. Ed anche di ciò non la sola solidarietà, ma la stessa ragionevolezza impone di tener conto. L’Italia ha certo bisogno di competitività e di crescita. Ma ha anche un disperato bisogno di giustizia. Prima che diventi lacerante, diamogli qualche risposta possibilmente non solo simbolica”.

 

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